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 2018  maggio 17 Giovedì calendario

L’amaca





Se avessi votato Lega o Cinquestelle, ogni flebile lamento delle autorità europee riguardo all’esito del voto italiano e alla possibile nascita di un governo bipopulista mi parrebbe una conferma della giustezza del mio voto. La sequenza è perfino ovvia: 1 – ho votato contro l’establishment europeo; 2 – l’establishment europeo si lamenta ad alta voce del mio voto; 3 – è una conferma della giustezza e dell’efficacia del mio voto.
È quasi incredibile che le autorità europee di ogni ordine e grado non abbiano ancora capito che ogni rimbrotto che rivolgono ai “populismi” vale, per i populismi, come un premio.
Per richiamare al rispetto delle regole un governo che voglia infrangerle c’è un tempo ovvio: è quando vorranno infrangerle. Non prima. Non durante la campagna elettorale, nel corso della quale ogni esternazione “anti-populista” degli eurocrati è valsa qualche voto in più per Salvini e Di Maio. Non prima che un governo si sia formato e abbia detto cosa vuole fare: il rimprovero preventivo è inutile e controproducente, e vale oro per chi ha costruito le proprie fortune politiche sull’ostilità all’Europa, ai suoi conti, al suo ruolo dominante. Dare del populista a un populista è per il populista un titolo di merito. Uscire dallo schemino rigido “establishment versus populismo” è la sola via di salvezza non per l’establishment, non per il populismo, ma per la politica: che di cliché muore, di realtà e di conflitti veri si alimenta, e grazie ad essi si rigenera.