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 2018  maggio 17 Giovedì calendario

Kim non intende rinunciare all’atomica

È la fine dell’eccesso di ottimismo contro cui tutti i maggiori esperti del problema nordcoreano avevano messo in guardia. Un brusco risveglio da una doppia narrativa secondo cui Kim Jong-un sarebbe diventato buonista e accomodante, piegato dalla spada fiammeggiante di un Donald Trump proiettato verso il premio Nobel in quanto in grado di tagliare il nodo gordiano che per decenni centinaia di politici e diplomatici avevano tentato invano di sciogliere.
La Corea del Nord ha sospeso il dialogo intercoreano e ammonito che il summit a Singapore del 12 giugno tra Kim e Trump potrebbe saltare. Il leader non ha parlato: il messaggio è stato affidato al primo viceministro degli esteri Kim Kye Gwan. Lunghe dichiarazioni di ammonimento, tra cui l’avvertimento che «se gli Usa cercano di stringerci in un angolo per forzarci a un abbandono unilaterale del nucleare, non saremmo più interessati a un dialogo di questo tipo». Ce n’è anche per Trump in persona, che rischierebbe di diventare «un presidente più tragico e fallimentare dei suoi predecessori», se non dovesse accettare la Corea del Nord come una potenza nucleare. «Vedremo, per ora non è stato deciso niente», ha replicato il presidente Usa.
I maggiori strali sono riservati al consigliere per la sicurezza nazionale Usa, John Bolton, definito ripugnante. Dopo aver l’anno scorso invocato la guerra, Bolton ha sconsideratamente evocato più volte il «modello Libia» da applicare a Pyongyang, ossia un disarmo prima di ogni concessione. Ma proprio la fine di Gheddafi nel 2011, dopo la rinuncia a significativi deterrenti (come del resto quella di Saddam Husseim), rappresenta uno spauracchio per un regime che cerca garanzie di sopravvivenza in precise cornici di sicurezza, in un momento in cui oltretutto l’America ha mostrato di potersi sganciare da impegni internazionali per un mero cambio di Amministrazione (il caso del nucleare iraniano).
Pyongyang appare irritata anche per le vaste esercitazioni congiunte tra forze aeree sudcoreane e americane (“Max Thunder”), che non sono state ridimensionate. E deve aver fatto una impressione non amichevole la comparsa all’Assemblea nazionale di Seul, lunedì scorso, di un ex diplomatico nordcoreano ora dissidente, con tanto di conferenza stampa. 
Così, a poche ore da un incontro a livello ministeriale a Panmunjom (nella stessa Pace House che aveva ospitato il vertice tra i leader a fine aprile), è arrivata la disdetta del dialogo intercoreano. Pyongyang non ha mai smesso di opporsi alle esercitazioni congiunte americane-sudcoreane, considerandole come prove di invasione: Kim si era limitato a far riferire dai sudcoreani che lo svolgimento delle esercitazioni programmate non sarebbe stato preclusivo al dialogo. Non deve certo aver apprezzato l’arrivo vicino ai suoi confini di 8 gioielli dell’Us Air Force, i caccia “invisibili” F-22. 
Gli esperti che rimangono ottimisti tendono a inquadrare l’atteggiamento più rigido di Pyongyang nella ricerca di una posizione negoziale più solida da parte di un soggetto che si sente già rafforzato dal netto miglioramento dei rapporti con la Cina. Ma la doccia sulle aspettative legate al summit – prematuramente amplificate dallo stesso Trump – è gelida, tanto più perché arriva a pochi giorni dal rilascio dei tre detenuti americani (accolti trionfalmente a Washington) e dalle rilevazioni secondo cui è già iniziato il promesso smantellamento del sito per test atomici di Punggye-ri. La distanza resta enorme tra le richieste Usa di completo e verificabile smantellamento delle armi di distruzione di massa prima dell’allentamento delle pressioni sanzionatorie e le domande di Pyongyang per reciproche concessioni graduali. 
Il dipartimento di Stato ha fatto sapere che per ora i preparativi per il summit continuano. Se salterà, i falchi a Washington potrebbero tornare in auge, come temono i pessimisti come Jeffrey Lewis, direttore dell’East Asia Nonproliferation Program al Middlebury Institute di Monterey: «La Corea del Nord non sta offrendo il proprio disarmo e tutto il parlare di Libia di Bolton era mirato proprio a sabotare il vertice. Ora abbiamo una vera crisi in cui i nordcoreani hanno esplicitato che non abbandoneranno il loro programma nucleare».