la Repubblica, 17 maggio 2018
La staffetta tra Craxi e De Mita
ROMA «La staffetta l’abbiamo liquidata». Bettino Craxi lo disse a Giovanni Minoli, che conduceva Mixer su RaiDue. Era il 17 febbraio 1987. Minoli, ricorda? «Cadde il governo, fu un colpo giornalistico. Craxi, a fine trasmissione mi chiese: “Si è capito bene?”. Si era capito benissimo». Craxi governava dal 1983, a capo di un pentapartito. Quanto era ritenuta credibile la staffetta con il segretario dc De Mita? «Se ne parlava continuamente, però restava un patto non scritto. Ricordo che io ripetei più volte la domanda, perché la risposta era dirompente. Craxi aggiunse: anche la Dc ha diritto a governare, ma lo ha già fatto per 40 anni». Ci sono analogie con oggi? «Può sembrare strano, ma alcuni aspetti si assomigliano. Anche in quella fase c’era un tira e molla tra i partiti al governo, un giorno si evocavano le elezioni, l’altro la pace. È interessante vedere come certe situazioni si ripetano, infatti ne parlerò nel mio editoriale domenica prossima su La 7». In quel caso si andò a votare. «Sì, nel giugno ‘87. Ma consideri che pochi giorni prima dell’intervista di Craxi De Mita aveva elogiato il governo». Non è un buon viatico per l’eventuale staffetta Di Maio Salvini? «Insomma! Il precedente è quello. Del resto, se il governo poi va bene, perché cambiare? E se viceversa va male, non si può solo avvicendare il premier, ma cambiare il governo o andare al voto. Però risolve un problema immediato e quindi non sono stupito che si riproponga». All’epoca il Psi aveva l’11 per cento, la Dc il 32. «I rapporti di forza erano chiari, anche se l’aver ceduto la presidenza a Craxi era un segno di momentanea debolezza della Dc, che comunque aveva questa capacità di aggregare gli alleati. Qui i rapporti di forza sono meno chiari, perché Salvini rappresenta ancora il centrodestra». Come finisce? «Difficile dirlo. Dopo l’ultima consultazione da Mattarella si sono visti due film diversi: Salvini già proiettato in chiave elettorale, mentre i Cinquestelle davano l’idea di voler andare al governo a tutti costi. Trattativa complicata. È vero che anche la Merkel ci ha messo sei mesi, ma lì c’era una certezza: la Cancelliera era lei». Si può partire prima dal programma e poi dal premier? «Sì, lo trovo giusto. Però la staffetta, una volta chiarito cosa si vuol fare per cinque anni, sarebbe una mossa illogica». Salvini e Di Maio le sembrano due figure di statura inferiore rispetto a quelle della Prima Repubblica? «Ma tutta l’Italia si è fatta più modesta. Guardi, il campionato di calcio, che era il più bello del mondo, o i palinsesti della tv, allora di un livello più ricco, per citare due spie pop del Paese. Poi c’è il fattore esperienza. Nessuno si farebbe operare di appendicite da uno studente di medicina al primo anno». Però è giusto che governino? «Il voto ha detto chiaramente che il Paese vuole un governo del cambiamento. Lega e M5S sono però costretti a stilare un contratto perché in fondo antitetici. Una situazione difficilissima da sbrogliare anche per il Capo dello Stato».