Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  maggio 16 Mercoledì calendario

Così Adorni vinse il mondiale del 1968

Il Giro domani, nella 12a tappa che finirà all’autodromo di Imola, celebrerà i 50 anni dal Mondiale 1968 di Vittorio Adorni, che trionfò proprio su quel circuito.
Adorni, ciclismo d’antan?
«Sì. Passai professionista con Learco Guerra, un pioniere della bici. Era un mondo diverso, a raccontarlo oggi viene da ridere».
Ci tenga di buonumore, allora.
«In quel 1968 sognavo la Sanremo e per arrivarci al top dissi a mia moglie Vitaliana di non fare sesso fino alla corsa. Lei accettò, ma prima della Sanremo mi infortunai e non la feci. Così diventò una questione di principio e decidemmo di continuare l’astinenza fino a una grande vittoria. Non fu facile, però».
Troppe tentazioni?
«Già. Prima del Giro d’Italia mi telefonò Pippo Baudo per farmi condurre il quiz televisivo “Ciao mama” con Liana Orfei, una donna bellissima. Negli studi tv incontravo le ballerine inglesi Bluebell, che giravano seminude. Era dura resistere, chiesi a mia moglie di venire a Milano perché non ce la facevo più, ma fu irremovibile: niente sesso fino al Mondiale».
Fu il segreto del suo exploit?
«Forse. Una corsa pazzesca. Andammo in fuga nei primi km, poi scattai ancora con Van Looy. “Hai paura dell’inferno?”, mi chiese. Accettai la sfida e a 90 km dalla fine lo staccai. Ma nel momento clou forai e l’ammiraglia dell’Italia mi lasciò solo perché era rimasta senza benzina. Per fortuna mi diede una bici Ernesto Colnago, che seguiva la corsa in moto. Altri tempi».
La vita monastica aveva funzionato.
«Non vedevo l’ora di interromperla e dissi a mia moglie che quella sera in hotel avremmo sciolto il voto. Appesi la maglia iridata all’armadio, ma era tanto il desiderio che da scalatore mi trasformai in... sprinter. Mia moglie capì e mi accarezzò».
Aveva 30 anni e quel 1968 fu decisivo. Ma anche nella storia: ricorda la contestazione giovanile?
«Certo, e mi spaventava. Non parlo delle idee, ma del modo di proporle. Troppa violenza, volevano cambiare tutto e subito».
Anche lei fece politica, vero?
«Fui assessore a Parma, ma la politica non faceva per me, troppi intrallazzi. Mollai tutto e poco dopo il sindaco fu inquisito».
Le piace il ciclismo di oggi?
«Vedo tanti giovani forti, come Yates, ma anche cose assurde, come il caso Froome. Se ha l’asma non faccia il corridore, se ha infranto le regole resti a casa. Oggi gli scienziati del ciclismo sono più bravi dei controllori dell’antidoping».
Anche lei fu squalificato per doping.
«All’inizio del 1968, l’anno del Mondiale. L’antidoping era appena nato dopo la tragedia di Simpson al Tour. Chiesi al medico se potevo prendere delle pillole, disse di sì ma risultai positivo alla caffeina. E presi un mese».
Che ne dice di questo Giro?
«Bello. In Israele tutto sommato è andata bene, visto quello che sta succedendo. Sono stato invitato a Gerusalemme, ma ho preferito rinunciare. Paura? No, però...».
Consigli al presidente Uci Lappartient?
«Basta radioline in corsa e minicomputer sul manubrio. Il ciclismo pilotato e programmato ammazza lo spettacolo».
Davvero esistono le bici a motore?
«Forse, comunque dovrò comprarmene una, a 80 anni ogni salitella è come lo Zoncolan».
Sabato c’è proprio lo Zoncolan: decisivo?
«No. Con i rapporti di oggi non farà grandi distacchi. Noi invece avevamo al massimo il 44x25. Ricordo che nel 1967 sulle Tre Cime sotto la neve mi attaccai alla moto Rai di Carapezzi che però lo disse in diretta alla radio e così annullarono la tappa».
Chi vince il Giro?
«Se Yates tiene, è un nuovo campione. Ma io dico Dumoulin».