La Stampa, 16 maggio 2018
Modificare il dna delle piante
Il destino – dice – non è tutto già scritto: «Anche il Dna si può trasformare, nell’uomo come nelle piante». Ragiona a voce alta Michele Morgante, genetista all’Università di Udine e presidente della Società di genetica agraria. Lo fa affinando l’intervento al Food&Science Festival di Mantova, domenica 20 maggio.
Parlerà di ciò che è già scritto nel Dna e (soprattutto) di come l’informazione genetica possa essere aggiornata ed eventualmente trasmessa alla progenie. L’obiettivo è prendere per mano il pubblico e convincerlo della necessità dell’innovazione, in un’epoca in cui per fare fronte al cambiamento climatico ci si interroga su come rendere le piante più produttive (o, almeno, più resistenti). La premessa è affascinante, il punto d’arrivo una revisione della famosa teoria di Jean-Baptiste de Lamarck, sostenitore dell’immutabilità delle specie vegetali.
Morgante, che coordina un filone di «Epigen» (il progetto del ministero dell’Istruzione per riunire le competenze e le infrastrutture italiane e accrescere la qualità della ricerca nell’epigenetica), compirà un excursus nel mondo delle modificazioni «esterne» nel regno vegetale. Obiettivo: far capire come quello che è un concetto noto sull’origine di diverse malattie valga anche per le piante. L’ambiente, infatti, è una fonte permanente di stimoli, vale a dire di fattori di stress che gli organismi ricevono ed elaborano per sopravvivere. Stimoli che, una volta ricevuti, vengono trasmessi alle specie figlie. E che – ed è qui che dalla teoria si passa alla pratica – possono migliorare le colture. Alcuni esempi sono mais, soia, vite e ulivo, giusto per citare le produzioni di cui l’Italia ha più bisogno e che rappresentano un volano di crescita economica.
Un obiettivo è arrivare al riconoscimento di un’eventuale «memoria dello stress», che potrebbe svilupparsi nella progenie in seguito all’esposizione di una pianta-madre a un patogeno o a un altro fattore ambientale. «Così selezioneremo piante più resilienti alla siccità o alla salinità. E a condizioni climatiche sempre più variabili – racconterà Morgante -. Caratteristiche importanti, considerato il cambiamento climatico e i crescenti fabbisogni alimentari».
L’occasione sarà propizia anche per parlare di editing del genoma applicato all’agricoltura. Inevitabile sarà un passaggio sulla tecnologia Crispr-Cas9, «un’opportunità priva di rischi: questi, infatti, tutt’al più possono nascere dal prodotto finale e non dalla tecnica che si utilizza». La posta in gioco è alta, perché, operando correzioni chirurgiche del Dna di tante specie, «potremo colmare il ritardo maturato negli ultimi 20 anni, in cui abbiamo dilapidato il vantaggio che avevamo accumulato rispetto ad altri Paesi nelle biotecnologie agrarie». Implicito, ma chiaro, il riferimento ai «no» dell’Italia nei confronti degli Ogm.
Se in Italia la ricerca su Crispr-Cas9 in agricoltura è ancora agli albori, le potenzialità sono evidenti. «L’obiettivo è arrivare a un’agricoltura più sostenibile per l’ambiente e in grado di soddisfare le richieste del mercato – chiosa il genetista -. Se vogliamo ridurre l’impatto della chimica, dobbiamo dare fiducia alla genetica. Altrimenti, se continueremo a negarci il progresso, perderemo definitivamente il confronto con Usa, Cina, Regno Unito e Germania».