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 2018  maggio 16 Mercoledì calendario

Un lievito madre vecchio di 120 anni

It’s a family pet!». Come un gatto, un cane o un canarino, la signora Ione Christensen nutre il suo lievito-madre tutti i giorni che Dio o chi per lui manda sulla Terra. A differenza di Fido&Co. il lievito regge anche a qualche giorno di digiuno (fino a una settimana, se ben strutturato di suo). La notizia in arrivo da Yukon – territorio del Canada passato alla storia per la Corsa all’oro a fine ‘800 – in realtà riguarda l’età del suo personale “family pet”, arrivato alla veneranda età di centovent’anni, ben più della sua coinquilina, che ne conta solo 84. La signora Christensen è salita agli onori della cronaca perché il suo lievito ultracentenario è appena entrato a far parte della preziosa collezione allestita dal panificatore belga Karl De Smedt. Il “Puratos World Heritage Sourdough Library” è una sorta di banca nata sulla scorta di altri siti di conservazione, come l’indiano Navdanya International e l’Antarctica New Ice Archive. Solo che invece di conservare semi ancestrali o blocchi di ghiaccio da ghiacciai millenari, nelle teche adeguatamente refrigerate di Sankt Vith, Liegi, vivono i lieviti–madre più vecchi del pianeta. Un progetto che coinvolge centinaia di fornai dei cinque continenti, pronti a mandare piccole porzioni dei loro “family pets” per arricchire la banca, non solo come parte del patrimonio alimentare mondiale, ma come diretta connessione alla storia della nostra sopravvivenza. Nel caso della signora Christensen, De Smedt si è mosso personalmente, vuoi per l’età della panificatrice, vuoi per la datazione del lievito, 1897, quando nonna Christensen faceva il pane per gli uomini di famiglia, impegnati a cercare l’oro nel letto del vicino Klondike. Frammenti di lievito e batteri sono stati trovati, preservati dal freddo glaciale dei Territori del nord-ovest, nelle sacche dei cercatori. L’archeo-panificatore belga non ha dubbi: «In un modo o nell’altro, siamo tutti figli di questa storia, visto che da 5000 anni almeno, chiunque sulla Terra abbia voluto fare il pane ha dovuto usare il lievito». Il progetto di De Smedt più che un percorso storico e scientifico certifica una vittoria: quella del lievito naturale contro tutti i tentativi di detronizzazione figli delle ultime diete. Grande, infatti, è la confusione sotto il cielo dell’alimentazione, tra chi esalta il profumo lievemente acidulo delle pagnotte “à l’ancienne” e chi compra solo pane e gallette di stretta osservanza kosher, che il lievito lo escludono all’origine, mettendo insieme intolleranze e allergie di origini molto diverse. Intanto, c’è lievito e lievito. E quello naturale – madre, appunto – se fatto bene e conservato meglio comunica agli impasti una leggiadria senza pari, fatta di occhiature grandi e piccine nel tessuto aereo di pani e affini. Per questo, negli anni, insieme al crescere dei fastidi digestivi legati alla produzione fornaia di bassa qualità, tra farine “fortificate” e acceleratori di lievitazione – si è sviluppata una generazione di panificatori professionali e domestici orgogliosi del proprio lievito fatto in casa e custodito con la cura che si deve a un membro della famiglia. Libri e blog, chat e siti Internet prosperano – meglio, lievitano – raccontando e scandagliando modi e segreti della lievitazione naturale, dove nulla viene lasciato al caso, dai tempi di riposo al nutrimento (miele, zucchero, pezzetti di frutta...). Perfino il guru della Blue Economy Gunter Pauli, che venerdì parteciperà al convegno veronese “Salvaterra” dedicato alla visione del futuro agroalimentare, dedicherà parte del suo intervento al lievito naturale, «perché la sostenibilità passa anche dal non-spreco. Bucce e semi dell’uva scartati nella produzione enologica sono fantastici attivatori di lievitazione per il pane, che acquista una freschezza meravigliosa». Miracolo garantito, a patto di non abbandonare il lievito al suo destino, anche a costo di rinunciare alle vacanze. Del resto, per conservarlo centovent’anni qualche sacrificio bisognerà pur farlo.