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 2018  maggio 15 Martedì calendario

Frida Kahlo icona pop

È naturale supporre che Frida Kahlo non avrebbe affatto gradito lo sfruttamento dell’immagine: comunista, nel vero e originale senso della parola, attivista, integralista e quindi facilmente disgustata davanti alla sua faccia sui calzini. Ma forse essere un santino laico è molto più che essere un’icona pop. Forse ci avrebbe riso sopra fino a trovare grottesca, e quindi attraente, una T-shirt con il monociglio, un tatuaggio con una corona di capelli infiorata.
Frida Kaho ha dipinto il dolore, la disperazione dell’immobilità, il panico della perdita. Condizionata per l’intera, breve, vita da un incidente che a 18 anni l’ha resa zoppa, curva, malata, diversa, ha messo sopra le tele ogni legittima frustrazione con una forza che ha aperto delle alternative. Doveva morire ed è sopravvissuta, doveva smettere di camminare e si è trascinata, doveva essere un relitto invece era un esempio. Questo squarcio, la capacità di scassinare l’inevitabile per spremerne l’inaspettato, l’ha resa famosa e immortale ma poi è successo altro. Il suo nome si è fuso in esistenze alternative. L’arte ha contaminato la moda, il design, gli slogan, è uscita dai musei, che pure la celebrano di continuo, è entrata in passerella richiamata da Gucci, Etro, Dolce e Gabbana. Si è sciolta in un rivolo di gadget, fino a diventare smalto per le unghie a tinte forti, eppure il suo spirito ha retto.
Il femminismo ante litteram
Era già un’icona del suo tempo. Negli Anni 40 la stilista Elsa Schiaparelli la usa come musa per «Robe Madame Rivera», un vestito a sua immagine e somiglianza ed è un anticipo di quel che sarà perché Kahlo stessa crea i presupposti del plagio perpetuo. Era progressista in un’epoca in cui il concetto era confuso, era femminista senza averne l’aria, non era legata a una sessualità precisa, si è addirittura sposata vestita da uomo. Mescolava e oggi il miscuglio è la nostra essenza.
Lei per prima ha celebrato la sua identità come «mestizaje»: un incrocio tra l’Europa e il Messico, tra l’origine e la fuga, tra l’appartenenza e la trasformazione. Poi, negli Anni Duemila, è diventata culto, studiata, imitata, analizzata e portata al grande pubblico con il film che ha reso celebre la sua biografia e gli sguardi di Salma Hayek. E ancora, più di dieci anni dopo, è scattata la «Fridamania»: parola coniata dopo che Beyoncé si è vestita da signora Kahlo a Halloween. Poteva pure essere la deriva, invece l’impronta di Frida ha resistito alle interpretazioni più pacchiane, è passata indenne alla fase «Fridabilia» che, sì, l’ha sfumata nei portachiavi e stampata sulle pochette, però l’ha anche liberata da ogni retorica. Resta lei, con tutto il fascino contorto di cui è capace. E oggi mai nessuno si sognerebbe di chiamarla «madame Rivera».
La «Fridolatria»
Adesso siamo alla «Fridolatria» e di certo non sarà l’ultima gradazione del suo nome. Da soggetto modaiolo si è elevata a protettrice. Di chiunque anche di chi proprio non le somiglia, come Theresa May. Il primo ministro britannico ha indossato un bracciale con la miniatura della Kahlo in un celebre discorso e l’ironia si è sbizzarrita quando la signora sul palco si è quasi strozzata in un attacco di tosse: Frida si è rivoltata. Può darsi, però magari il bracciale era una richiesta di sostegno. Una donna in difficoltà con la faccia di una donna forte. Frida Kahlo non è sbiadita, le ragazzine vogliono un pezzo della sua intraprendenza, chiunque prende a prestito un dettaglio del suo coraggio, i tatuaggi sono trasfusioni di consapevolezza. La riproducono senza indebolirla. Probabilmente non è nemmeno possibile farlo.