La Stampa, 15 maggio 2018
I paeselli lontani da tutto costituiscono il 60% del territorio italiano
Non sono né centro né periferia. Troppo lontane dai servizi per diventare un posto comodo in cui abitare e troppo piccole per pretenderne l’arrivo. Sono le cosiddette «aree interne» – dall’Agordino alle Madonìe, dal basso Salento al Delta Padano – che punteggiano lo Stivale. Zone bellissime e dall’aria buona che distano 40 minuti o più da servizi essenziali come ospedali, scuole, stazioni e l’accesso a Internet. E non sono una rarità: corrispondono al 60 per cento del territorio nazionale. Dal Nord al Sud questi centri rischiano, in misura diversa, lo spopolamento, la marginalizzazione, l’irreversibile aumento dell’età media di chi ci risiede. Basta che un Comune chiuda il suo «punto nascita», per fare un esempio, per assistere alla fuga delle giovani coppie.
La svolta nel 2014
Quattro anni fa l’allora governo Monti adottò, all’interno del Piano Nazionale di Riforma la «Strategia Nazionale Aree Interne» che oggi comprende 72 aree per un totale di 1066 comuni. Obiettivo principale dell’intervento (messo fisicamente in cantiere dall’ex ministro della Coesione Territoriale, Fabrizio Barca): rilanciare lo sviluppo e i servizi di queste aree e contrastarne la caduta demografica. Un processo lungo, concluso con la mappatura dei «territori complessi» e l’arrivo dei primi fondi, circa 3 milioni di euro per le prime 23 zone, una per ogni regione (la Snai ha un fondo di 281,18 milioni di euro). Grazie a questi fondi si sono accorpate vecchie scuole con parecchie aule vuote in un solo edificio nuovo e più funzionale, sono state create nuove figure come «l’ostetrica di comunità», è stata incrementata l’assistenza domiciliare anche attraverso la «telemedicina», ovvero il medico che può visitare il paziente attraverso una web-chiamata. Quattro anni fa Il Comitato della Snai, coordinato da Sabrina Lucatelli, ha diviso l’Italia (escludendo le zone più servite) in quattro «fasce di appartenenza» fissando come parametro la distanza in tempi di percorrenza da servizi essenziali come la sanità, la scuola e la mobilità.
Il Paese risultava suddiviso in aree peri-urbane, intermedie, periferiche e ultra-periferiche: queste ultime distano oltre 75 minuti dal polo più vicino. «Abbiamo piegato politiche disegnate in maniera settoriale – spiega Lucatelli – alle esigenze specifiche di queste aree. Una scuola di Milano e una di Castelli seguono la stessa normativa. Con Aree Interne aiutiamo i territori per trovare all’interno delle leggi esistenti le soluzioni più adatte in tema di: formazione ad hoc, adeguamento delle scuole, gestione delle pluriclassi, tutte soluzioni decise insieme con le Comunità locali». L’altro importante cambiamento è stata la scelta di non lavorare con un solo Comune, ma di accompagnare i sindaci attraverso processi di associazione dei servizi per diventare sistemi territoriali permanenti: «Una grande sfida che riesce a dar loro nuova forza, amministrativa, culturale e politica» conclude Lucatelli.
Gli incontri
«È un processo lungo, una macchina complessa per un progetto sperimentale e unico nel suo genere – spiega Filippo Tantillo, coordinatore scientifico del gruppo tecnico che supporta la Strategia a livello nazionale – abbiamo percorso più di 50 mila chilometri in tutto il Paese, incontrando cittadini, associazioni e cittadini per capire ciò di cui aveva bisogno il loro territorio proposte da sottoporci». Attenzione, però, le aree interne non vanno considerate zone depresse o povere. Sono soltanto penalizzate dalla distanza dai servizi essenziali. Anzi: «Molti di questi luoghi vantano peculiarità paesaggistiche e un costo della vita molto basso». Per rilanciarle bisogna puntare sulla questione energetica, la messa in sicurezza del territorio, la valorizzazione dei beni culturali, il lavoro dei giovani.
Un nuovo welfare
Oltre al ripristino delle condizioni base per lo sviluppo e la crescita si affianca il progetto di rilancio economico: «Si pensa»- aggiunge Tantillo – «di finanziare esperienze nuove dando un’attenzione particolare ai giovani o agli immigrati i futuri protagonisti di nuove forme di imprenditorialità».