la Repubblica, 15 maggio 2018
Storia della crema Nivea
Dalla nostra corrispondente BERLINO Negli anni d’oro della Belle Epoque, bisogna immaginarsele, le eleganti signore di Amburgo con i loro sontuosi cappelli a falda larga che passeggiano lungo i canali affacciati sul porto, ansiose di ripararsi dal clima severo della città anseatica. A quell’epoca, gli oli per proteggersi dalle micidiali sferzate di vento o dal sole sono unti, non si assorbono, odorano subito di rancido, servono a poco. Finché il geniale imprenditore ebreo Oscar Troplowitz trova la ricetta della crema del secolo. Ancora oggi ha un profumo inconfondibile e viene venduta, nella sua versione “classica”, ben centoventitré milioni di volte l’anno, in oltre duecento Paesi del mondo. Da un bel pezzo la Nivea non è più il prodotto cosmetico prediletto dall’aristocrazia anseatica. Oggi è la crema più popolare del mondo. E il suo creatore è stato anche un pioniere dei diritti dei lavoratori. Troplowitz morì cent’anni fa, il 27 aprile del 1918, stroncato a soli 55 anni da un ictus. Sulle foto color seppia esibisce un paio di enormi baffi guglielmini e uno sguardo severo ma limpido. Quando se ne andò, ancora giovane, aveva già creato un impero. E una leggenda chiusa in una scatoletta gialla, che soltanto negli anni successivi si tinse di blu. Di origine slesiana, Troplowitz arrivò nella città anseatica alla fine dell’Ottocento, dopo aver risposto a un annuncio su una rivista specialistica. Per un lutto in famiglia, Paul Carl Beiersdorf voleva vendere la sua azienda, e Troplowitz la rilevò. Pochi anni dopo il farmacista sviluppò la pietra filosofale dei moderni cosmetici con il suo collaboratore più talentuoso, il chimico Isaac Lifschuetz. Sepolti per anni nel laboratorio della “Beiersdorf & Co”, i due riuscirono a legare acqua, aromi e olio attraverso l’emulsionante eucerit, ricavato proprio da Lifschuetz dal grasso di pecora. Eureka: nel 1911 nacque la Nivea. Una crema bianca come la neve, che Troplowitz battezzò con la sapienza dei farmacisti che parlavano il latino come fosse la loro lingua madre. Nix, nivis: Nivea. E, un po’ come per la Coca Cola, il chimico che l’aveva inventata, Lifschuetz, pensò anzitutto a un uso medico. Troplowitz, invece, ne subodorò l’enorme potenziale come prodotto per tutti i giorni e la lanciò con successo. Il profumo della Nivea è ancora oggi, per milioni di persone, una madeleine dell’infanzia. Note di limone e lavanda miste a essenza di rosa, di gelsomino e di altri aromi floreali, con una spruzzata di muschio e legno sono le componenti essenziali della crema bianca. Nei primi anni fu venduta in una scatola gialla, con le scritte arzigogolate e gli abbellimenti jugendstil, che si rivelarono molto meno efficaci della trovata successiva. Nel 1925, l’ex capitano di fregata Juan Gregorio Clausen prese in mano le redini della società. E forse in onore del mare che aveva solcato per anni, sicuramente ispirato dalla sobrietà del Bauhaus che andava di moda allora, rivoluzionò la scatoletta. La tinse di blu, spazzò via gli orpelli, lasciò solo la scritta Nivea. Oscar Troplowitz, che morì poco prima della fine della Grande Guerra, non fu solo un imprenditore visionario, adottò anche misure all’avanguardia per tutelare i suoi dipendenti. Ne ridusse l’orario di lavoro da 60 a 48 ore, introdusse le ferie pagate e l’asilo aziendale, fondò un’assicurazione sanitaria e un fondo pensionistico integrativo per i suoi operai e persino una cassa di risparmio aziendale. Invece di licenziare le donne incinte, come era d’uso allora, le protesse. Sosteneva che i lavoratori avessero diritto a queste misure, affatto scontate nelle fabbriche di un secolo fa. E il genio del farmacista slesiano non si limitò all’invenzione della prima, moderna crema idratante. Poco dopo aver acquistato da Paul Carl Beiersdorf i laboratori chimici e aver battezzato la “Beiersdorf & Co” – a tutt’oggi una delle multinazionali di cosmetici più potenti del mondo Troplowitz entrò in rotta di collisione con l’ex proprietario perché voleva pubblicizzare i prodotti. Beiersdorf si oppose sdegnato, disse non aveva bisogno delle réclame, e che «la mia pubblicità gratuita sono i lavori scientifici dei miei dermatologi e i miei preparati». Ma l’industriale slesiano lo ignorò. Cominciò a commissionare cartelloni pubblicitari, a comprare inserzioni sui giornali per i prodotti della Beiersdorf e per la sua Nivea. E il rapido successo gli consentì di assumere nel giro di pochissimi anni centinaia di dipendenti. Quando l’aveva comprata, nel 1890, la “Beiersdorf & Co” contava undici dipendenti. Nel 1918, l’anno in cui morì, Troplowitz ne controllava cinquecento. I suoi esperimenti, peraltro, non si limitarono alle creme. Negli anni Troplowitz lanciò sul mercato il burro di cacao più famoso del mondo, il Labello, ma anche la crema Eucerin o il nastro adesivo Tesafilm. E il suo interesse privato per le arti – fu un mecenate generoso – gli consentì di comprare il primo Picasso mai acquistato in Germania. Ma quando se lo appese in ufficio, qualche benpensante si scandalizzò: era la “Bevitrice di assenzio”, capolavoro che l’imprenditore era riuscito a comprare da Gertrude Stein. E che si addiceva perfettamente a uno scienziato libero come lui, abituato a sfidare ogni limite.