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 2018  maggio 15 Martedì calendario

La rete di Montante

Quello che era diventato un intoccabile fondava il suo potere sul ricatto. Spiava e faceva spiare, commerciava in informazioni sensibili, contava sull’appoggio di ministri dell’Interno come Annamaria Cancellieri e Angelino Alfano, di capi dei servizi segreti come il generale Arturo Esposito, di governatori come Rosario Crocetta, personalità pubbliche di rilievo e politicanti da strapazzo, alte sfere e bassifondi. Ecco il regno maleodorante che aveva in pugno il cavaliere Calogero Antonio Montante detto Antonello. Siamo qua a scrivere oggi di questa storia italiana che puzza un po’ di mafia e tanto di sporcizia perché è affiorata anche grazie (o a causa) al suo delirio di onnipotenza e all’assoluta certezza che l’avrebbe fatta franca, impunito nonostante tutto. Coccolato dai presidenti di Confindustria degli ultimi anni, protetto da infedeli funzionari dello Stato, sostenuto da una politica che a volte si è avvantaggiata dei suoi servigi e a volte se n’è approfittata, l’uomo che si presentava in pubblico come l’esponente più autorevole dell’Antimafia nel nostro Paese si è rivelato un taglieggiatore, un estorsore di notizie riservate da usare alla bisogna per accumulare ricchezza e comando o per distruggere tutti gli avversari che incontrava sulla sua strada. Poliziotti, carabinieri, finanzieri, imprenditori, giornalisti, magistrati, pezzi grossi della burocrazia. O stavano da una parte – la sua – o stavano dall’altra. In mezzo c’era una “centrale di spionaggio”, una premiata ditta “Ricatti & Estorsioni” con la casa madre a Caltanissetta e filiali sparse in tutta Italia. In mezzo c’era questo “meccanico” di un paese della Sicilia, Serradifalco (“meccanico”, così è scritto nel suo certificato di matrimonio, testimoni gli Arnone, un capo di Cosa Nostra e suo figlio anche lui formalmente affiliato alla compagnia) che era vicepresidente degli industriali con la luccicante delega alla Legalità, c’era questo avventuriero semianalfabeta – una laurea finta esibita ma con tanto di smentita della Sapienza – che era riuscito ad accreditarsi nei palazzi che contano fino a decidere chi doveva fare l’assessore regionale a Palermo o a suggerire tramite amici anche chi avrebbe potuto fare il ministro a Roma nel governo Renzi. Aveva segnalato per un posto a Palazzo Chigi la sua amica Linda Vancheri, una che è a pieno titolo dentro quello che in queste ore viene definito il “sistema Montante”. Quale è stata l’attività principale di “Antonello” nella spaventosa e ingannevole stagione della sua irresistibile ascesa? Dispensare favori e incarichi in cambio di fedeltà assoluta ai suoi piani, avere nelle mani le sorti del governo della Regione siciliana, sguinzagliare i suoi per pedinare e intercettare illegalmente e schedare i nemici, caldeggiare promozioni per questori e prefetti, raccomandare magistrati (a proposito, i giudici catanesi hanno archiviato con eccessiva fretta le indagini sui loro colleghi senza aspettare l’esito dell’inchiesta di Caltanissetta) e intanto firmare protocolli di legalità con associazioni antimafia e ambientaliste che cantavano nel coro, distribuire patenti di “buona” e “cattiva” condotta. Un sultano. Non ci sono mai piaciute le denominazioni delle operazioni di polizia in stile americano, ma questa volta l’hanno azzeccata: “Double Face”. Veniva considerato un esempio di imprenditore siciliano, quello che più di ogni altro si era ribellato ai boss pur non avendo con la sua Confindustria espulso mai un solo suo iscritto per contiguità mafiose. Aveva voluto perfino una “zona franca della legalità” nel centro della Sicilia e l’ex governatore Raffaele Lombardo – al tempo rinviato a giudizio per concorso esterno e poi condannato per voto di scambio e favoreggiamento mafioso – l’aveva assecondato. Tutto alla luce del sole. Tutti sapevano e quasi tutti sono stati zitti (i giornalisti anche, fra le carte c’è un po’ di materiale per riflettere sull’etica della professione), quando non ne hanno beneficiato. La lista è abbastanza lunga e anche sorprendente. La vicenda ci racconta molto di un’Italia che nel fango si trova a proprio agio e di un’altra Italia che non ci sta, a cominciare dai poliziotti e dai magistrati di Caltanissetta che sono andati controvento nonostante un’aria cupa intorno a loro e quella “centrale di spionaggio” che provava a controllare ogni loro mossa da quando Montante era sotto inchiesta. La dirigente della Mobile riferiva al suo superiore Andrea Grassi del Servizio Centrale Operativo, Grassi smistava le confidenze al caporeparto del servizio segreto civile Andrea Cavacece che poi le convogliava al capo del “servizio” Esposito, che le girava all’ex presidente del Senato Renato Schifani, che a sua volta le passava al tributarista Angelo Cuva che le sussurrava al colonnello dei carabinieri Giuseppe D’Agata che infine le porgeva su un vassoio d’argento ad “Antonello”. Un bel giro. C’erano anche ufficiali della Finanza che hanno vessato imprenditori onesti su mandato di Montante. C’erano misteriosi personaggi come il presidente del “Tennis Club” di Caltanissetta Michele Trobia, che in una telefonata si autodefinisce «un distributore di mazzette». C’è un ex poliziotto, Diego De Simone, che da capo della sicurezza di Confindustria era in contatto con qualcuno alla procura nazionale antimafia per saperne di più sull’indagine. Oggi sono affiorati alcuni nomi, domani o dopo ne usciranno altri. È il capitolo della Regione. In testa c’è Crocetta, poi c’è l’ex assessore regionale Maria Lo Bello, poi c’è la funzionaria Maria Grazia Brandara, poi ancora c’è la Vancheri. E c’è anche Beppe Lumia, il gran tessitore della politica siciliana, un altro campione dell’antimafia che ha portato Montante in alto, sempre più in alto.