la Repubblica, 15 maggio 2018
L’amaca
Il momento italiano è ben riassunto dalle illazioni sull’eventuale premier.
Nessuna è davvero leggibile politicamente, dunque sono tutte verosimili: appunto perché illeggibili politicamente. Esclusi Hitler e Stalin, ogni figura intermedia (il 99 per cento degli esseri umani) può adattarsi alla totale destrutturazione ideologica nella quale si muovono, freneticamente, i giovani protagonisti di questo Anno Zero. Di ogni nome udito non si dice se sia più o meno di destra, più o meno liberista o welfarista, più o meno xenofobo, più o meno europeista e atlantista, insomma quali siano le coordinate politiche che porterebbero lui, non altri, alla guida del governo.
Si cerca piuttosto di vagliarne amicizie e inimicizie personali (Tizio mangiava la polenta con Bossi, Caio scrisse una mail a Grillo, Sempronio fu il professore di Salvini), si annaspa dentro la stessa materia molle dentro la quale tutti annaspiamo, a partire dai cosiddetti nuovi leader che simulano lungimiranza ma guidano a fari spenti nella nebbia.
Ieri le voci di dentro (interne a Lega e Cinque Stelle) dicevano che l’accordo è a buon punto, a parte emigrazione, Europa, giustizia e infrastrutture: è come dire che una nave è pronta per il varo, a parte lo scafo da completare e il motore che deve ancora essere disegnato. Non è per malafede, è proprio per l’impossibilità di dare un nome e un ordine di grandezza alle cose: ne discende che il futuro premier può essere legittimamente chiunque, o quasi chiunque, senza che si possa obiettare la sua estraneità ai fatti.