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 2018  maggio 15 Martedì calendario

Più di 50 morti a Gaza

I morti di Gaza sono, nel momento in cui scriviamo, 55. Di questi, otto hanno meno di 16 anni. Tra le vittime c’è una donna. I feriti sono 2.410. La fonte di queste informazioni è il ministero della Sanità palestinese. Secondo Amnesty International i minori uccisi sono sei.  

Dinamica degli incidenti?
Non so se è giusto parlare di incidenti. Si tratta di una guerra. Quella di ieri è la giornata col più alto numero di morti dal 2014. Decine di migliaia di dimostranti si sono radunati fin dalla mattina lungo la frontiera con lo stato ebraico, provando ad aprire delle brecce nella rete che separa le due comunità: i militari israeliani hanno risposto al lancio di pietre e molotov aprendo il fuoco, mentre gli aerei si sono alzati in volo e hanno bombardato alcune postazioni di Hamas da cui partivano spari. Scontri si sono verificati anche in Cisgiordania, a Betlemme, a Hebron. Gli israeliani hanno giustificato la loro offensiva parlando di legittima difesa. Dall’altra parte li si accusa di genocidio. Abu Mazen, presidente dell’Autorità palestinese che governa la Cisgiordania, ha proclamato un giorno di sciopero per oggi e tre giorni di lutto per il «massacro». A Gerusalemme invece si esulta, si festeggia, si pronunciano gran discorsi, alla presenza di Ivanka Trump, la figlia del presidente Usa, venuta col marito ebreo, Jared Kushner, a celebrare l”apertura dell’ambasciata americana di Gerusalemme.  

Gli americani non avevano un’ambasciata in Israele?
Sì, ma a Tel Aviv. All’inizio di dicembre Trump comunicò che avrebbe spostato l’ambasciata a Gerusalemme. Con questa mossa il presidente faceva sapere ai palestinesi di considerare Gerusalemme capitale d’Israele. Un insulto alla sensibilità musulmana, Gerusalemme è la città santa di tutt’e tre le religioni e l’Islam ha qui la Spianata delle Moschee, da cui sarebbe asceso al cielo Maometto. La mossa non aveva solo un significato religioso, ma fortemente politico. Dichiarando Gerusalemme pienamente israeliana, gli Stati Uniti negano, con i fatti, la teoria che ha consolato per quasi mezzo secolo le potenze occidentali, cioè quella secondo cui la questione arabo-israeliana si sarebbe risolta con la creazione di due stati, autonomi e indipendenti, Israele e la Palestina. Trump pensa invece che la questione arabo-israeliana si risolverà solo ammettendo un solo stato, quello di Israele, e sottomettendo ad Israele i palestinesi. Che questo fosse il pensiero del presidente è risultato chiaro già al momento della nomina del nuovo ambasciatore americano a Tel Aviv, l’avvocato ebreo David Friedman, dato che è proprio questo che notoriamente pensa Friedman, evidentemente un falco. Friedman era presente ieri alla cerimonia con cui è stata inaugurata la nuova sede diplomatica Usa, nella parte ovest, vicino alla Linea Verde che fino al 1967 divideva in due la Città Santa, sulla strada verso Betlemme e la Cisgiordania. Friedman ha parlato di «gran giorno», stimolando un’ovazione alla volta di Trump, che ha twittato il suo entusiasmo. Grandi elogi anche da parte di Netanyahu.  

E adesso?
S’è rifatto vivo anche al Zawahiri, il capo di al Qaeda, il successore di Osama bin Laden. Ha postato un video, intitolato «Tel Aviv è anche una terra di musulmani», in cui invita i musulmani di tutto il mondo al jihad contro Stati Uniti e Israele. «Trump ha svelato il vero volto della moderna crociata. Con lui non funziona la pacificazione ma solo la resistenza tramite il jihad». La decisione di spostare l’ambasciata proprio adesso è un ulteriore elemento di provocazione: il 15 maggio ricorre l’anniversario della guerra del 1948, la prima combattuta tra arabi e israeliani, all’indomani della nascita dello stato d’Israele.  

I palestinesi avevano programmato delle celebrazioni per questo?
Sì, oggi, anniversario della guerra del 1948, è la giornata della Nakba, o «catastrofe». Doveva essere il culmine del cosiddetto «ritorno a casa», pensato per commemorare le confische del 1976, quelle con cui Rabin tolse molte proprietà agli arabi per assegnarle agli israeliani. Per organizzare questo ritorno a casa quelli di Hamas hanno messo in piedi, fin dallo scorso 30 marzo - anniversario della Nakba - sei punti di raccolta lungo una cinquantina di chilometri, grandi accampamenti in cui hanno radunato intere famiglie e una quantità impressionante di bambini. L’ordine è di avvicinarsi alla rete che separa Israele dalla Striscia di Gaza, tagliarla o comunque romperla, passare dall’altra parte, invadere Israele, magari per un lembo di terra piccolo, ma significativo. Nei sei campi sono stati radunati 17 mila palestinesi. L’ordine è di tentare l’invasione, e si doveva continuare fino a oggi, anniversario della guerra del 1948 e data stabilita per lo spostamento a Gerusalemmte dell’ambasciata americana.  

Che speranza hanno di vincere, i palestinesi?
Quella demografica. La popolazione araba, all’interno di Israele, della Striscia e della Cisgiordania, cresce più in fretta di quella ebrea. La guerra che gli arabi perdono in genere sul terreno potrebbe essere vinta dal ventre delle donne palestinesi e da quello che sono capaci di generare.