la Repubblica, 14 maggio 2018
Ritratto di Allegri
Un anno quasi da scacchista. Le mosse con cui ha cambiato i finali. Machiavellico, allergico alla tecnologia e al tremendismo. Ha modellato una squadra cameleontica e affamata Qui e ora si anticipa la massima comprensione per chi andrà a sostituire Allegri sulla panchina della Juve. Un po’ come salire sul trono inglese dopo la regina Elisabetta. Quando accadrà? Non si sa. Si sa che sarà molto difficile far meglio: in 4 stagioni 4 scudetti, 4 Coppe Italia, una Supercoppa ( che a lui dice poco). Aggiungiamo due finali di Champions e una rimonta quasi impossibile, quest’anno, finita come sappiamo, alla soglia dei supplementari. Ecco, quella del Bernabeu è forse la miglior partita della Juve nel periodo-Allegri. Giocata bene e finita male. Mentre sono tante le partite giocate così così o anche maluccio, ma premiate dalla vittoria. Come se Allegri preferisse una Juve grigia, fusione di bianco e di nero. Grigia temporaneamente, prima di cambiarle faccia e gioco nel secondo tempo. Sui cambi in corsa è probabilmente il più bravo di tutti, anche se lui ci scherza sopra: «I cambi sono un modo di correggere i miei errori iniziali». Ovunque vada Allegri, lo accompagnano almeno due etichette: una è quella di sciupafemmine, e nei dettagli sta fuori da questa pagina. L’altra è quella di aziendalista, spesso pronunciata in senso negativo, quasi a indicare uno yes- man. In apparenza, non gli dà fastidio: «Se significa che del mio lavoro devo rendere conto in società, mi sta bene. È così e mi pagano pure bene. Se sottintendono che sono altri a dettarmi la formazione, vuol dire che non mi conoscono». La terza etichetta lo definisce figlio calcistico di Galeone. Il padre calcistico, cui Allegri continua a rivolgersi usando il lei, non lo ha mai rinnegato, anche se non è abbonato al 4- 3- 3. «I numeri hanno un’importanza relativa. Quello che ho trasmesso a Max è il primato della tecnica, il gusto della qualità, la velocità nei passaggi. Sono già troppi quelli che parlano di schemi. Da giocatore ha avuto poca fortuna, giocava in un calcio in cui il più bravo era quello che menava di più. Un calcio aggressivo e muscolare che metteva in secondo piano gli elementi più eleganti e fantasiosi». Dire che Allegri è un allenatore all’antica sarebbe sbagliato. Dire che è abbastanza allergico agli ultimi totem tecnologici non è sbagliato. Di avere i droni che riprendono l’allenamento non gli può importare di meno. E i dati su tutto quello che riguarda i giocatori, dal peso ai chilometri percorsi, li fa valutare dal suo staff, che poi riassumerà. Non gli piace pavoneggiarsi, Mourinho è molto lontano da lui. Per lui, un allenatore incide per il 5%. Dove incide? «Fantasia e capacità di gestire l’imprevisto. Le partite si preparano, ma non si prevedono. Mi succede di decidere una formazione il venerdì pomeriggio e di stravolgerla la domenica sulla base di un’intuizione. Il momento migliore è attorno alle 7.30 del mattino, l’ora alla quale solitamente contraddico me stesso». Allegri prepara, non prevede ma provvede rapidamente in caso d’imprevisto. Quest’anno ha usato sei moduli diversi. In passato ha dimostrato una certa saggezza, lui piuttosto affezionato alla difesa a 4. Non ha cambiato il 3- 5- 2, il marchio di fabbrica di Antonio Conte. Saggezza doppia. Accolto in modo freddino, se non vagamente ostile, dalla maggioranza dei tifosi, innamorati del tremendismo contiano, non era il caso per lui di cercar grane cambiando la Juve. E tanto valeva, a questo punto, lasciare che la Juve andasse a memoria e disegnare le varianti in un secondo tempo. Il secondo tempo, in senso stretto, è alleato della Juve, che nei minuti finali ha strappato risultati pesanti: con la Lazio all’Olimpico, con l’Inter a San Siro. Con la preparazione atletica, nessun problema. E nemmeno con la gestione degli uomini. Più carota che bastone, ma quando Bonucci si comportò male, bastone. In tribuna, su uno sgabello, lo vedessero tutti. Ad acque tranquille o poco agitate, Allegri cerca di avere una parola, un buffetto, un’attenzione per tutti. Ha una rosa folta e ricca, deve badare ad essere super partes perché i calciatori più sono famosi più sono permalosi, capaci di mandarti a quel paese quando li togli dal campo a 2’ dalla fine. E alla Juve di famosi ce ne sono più che al Sassuolo, al Cagliari, al Milan. La gestione gli riesce piuttosto bene grazie a colpo d’occhio e memoria. Alla faccia dei droni. Grazie alla memoria Allegri ricorda un’intervista, un titolo, una frase polemica a una distanza di anni. Grazie al colpo d’occhio capisce dalla prima nuvoletta quando sta arrivando il temporale. Fuori di metafora, quando uno dei suoi sta per sbroccare. Oppure quando il vino della partita sta girando in aceto. Non ha schierato dall’inizio, più d’una volta, Dybala o Higuain, che certamente non avranno gradito. Però gli ha risparmiato colpi e li ha mandati in campo ad avversari stanchi, cioè quando la velocità e la tecnica, di Dybala soprattutto, poteva fare la differenza. E l’ha fatta. Ha ottenuto da Mandzukic che facesse il terzino, un po’ come Mourinho con Eto’o all’Inter. Poco altro in comune con Mourinho. Forse badare al risultato più che allo spettacolo. È però in un Inter- Cagliari del gennaio 2009, dopo una lezione di calcio di Allegri al portoghese, che ho pensato che Max potesse avere un futuro in una grande squadra. Al portoghese che inzeppava l’Inter di punte, il Cagliari rispondeva non inserendo difensori. Finì 1- 1 ma in contropiede il Cagliari buttò via tre palle- gol nel finale. Allegri ragiona come uno scacchista. Sa che con un paio di mosse può ribaltare la partita. Vedi il doppio ruolo di Cuadrado. Vedi Douglas Costa. Non lo faceva giocare, o sì ma col contagocce. Ecco, sta smentendo il mercato della società. No, sta aspettando che Costa sia pronto. Ed è stato fondamentale. Allegri è machiavellico nella sua semplicità di fondo, ha una squadra che non vuole imporre il gioco ma è disposta a subirlo, camaleontica e polimorfa, sempre affamata. Resterà a Torino Allegri? «Quattro anni così difficilmente possono ricapitare. Ma qui c’è una società che ti spinge alle vittorie. Poi bisogna trovare dentro di sé le motivazioni». Se pensa di riuscire a divertirsi ancora, dopo questi quattro anni superlusso, sì. Altrimenti andrà altrove, col suo 5% di scienza in valigia. Percentuale di fantasia non pervenuta, ma pare funzioni anche fuori d’Italia.