la Repubblica, 14 maggio 2018
Indonesia, ritratto della famiglia kamikaze
Cristiani sotto attacco in Indonesia. Dove un’unica famiglia kamikaze, divisa in commando, ha fatto strage di fedeli in tre chiese di Surabaya – seconda città più grande del Paese, nel versante Est dell’isola di Giava – uccidendo 13 persone e ferendone 41. I primi a farsi esplodere sono stati i due figli adolescenti: Yusuf, 18 anni, e Alif di 16, lanciatisi con una moto carica d’esplosivo sul sagrato della chiesa cattolica di Santa Maria Immacolata dove la prima messa, quella delle 7.30 stava per incominciare. Cinque minuti dopo è stata la madre, Puji Kiswati, 43 anni, a farsi esplodere insieme alle figliolette Fadilia di 12 anni e Rizkhita di 9, nel parcheggio della chiesa calvinista di Diponegoro, innescando le cariche esplosive nascoste sotto i vestiti all’esterno dell’edificio perché, secondo i primi testimoni, un vigilantes stava cercando di bloccarle. Infine è stata la volta del padre. Dita Supriyanto, 48 anni, si è lanciato con la Toyota carica d’esplosivo da cui aveva fatto scendere moglie e figlie poco prima contro una chiesa pentecostale nel centro della città. Dieci minuti di follia islamista. Che sono però bastati a sprofondare nella paura la piccola comunità cristiana, il 9 per cento appena dei 260 milioni di abitanti che conta l’Indonesia, Paese che ospita la comunità musulmana più grande del mondo. Riportandola all’orrore dell’attacco del Natale 2000, quando undici bombe in altrettante chiese uccisero 19 persone. Secondo le prime ricostruzioni il capofamiglia sarebbe un affiliato del gruppo Jad, Jamaah Ansharut Daulah, rete jihadista locale nata dalle ceneri del Jat: che invece era affiliato ad Al Qaeda, ed è lo stesso gruppo che nel 2002 trasformò la turisticissima Bali in un inferno, uccidendo 200 persone dopo aver piazzato tre bombe in due locali notturni. Il Jad nel 2015 ha giurato fedeltà allo Stato islamico: e secondo il capo della polizia indonesiana, il generale Tito Karnavian, la famiglia sarebbe addirittura appena rientrata dalla Siria. L’Isis infatti ha subito rivendicato l’attacco (parlando però di tre kamikaze, anziché sei) con un comunicato trasmesso sulla sua agenzia di informazione, Amaq. Il commando potrebbe non limitarsi al solo ambito familiare: nelle ore successive, racconta il quotidiano indonesiano Jakarta Post, sono state scoperte altre tre bombe inesplose nella chiesa di San Giacomo e in quella del Sacro Cuore, mentre una quarta è esplosa in un condominio popolare, nella periferia della città. In quelle stesse ore, quattro militanti del Jad sono stati uccisi in circostanze ancora poco chiare dalla polizia. Gli attacchi arrivano a pochi giorni dalla rivolta soffocato nel sangue dalla polizia nel carcere Mako Brimob, vicino Giacarta, rivendicata dall’Isis: dove sono morti cinque poliziotti e uno dei terroristi detenuti. E proprio dal carcere Aman Abdurrahman, leader del Jad, ha incitato i seguaci a compiere atti di terrore. Il presidente indonesiano Joko Widodo ha condannato gli attacchi: «Sono atti codardi». Mentre Papa Francesco ha invocato «il Dio della pace: che porti nel cuore di tutti riconciliazione e fraternità».