la Repubblica, 13 maggio 2018
Quello che disse Onesti quando l’Italia fu eliminata dal mondiale nel 1958
Scrive il lettore I.F.: “Facendo seguito al caso-Pjanic, credo si debba riflettere sui limiti del Var: perché non applicarlo perlomeno anche ai falli da secondo giallo? È comunque una situazione da cartellino rosso e può incidere sulla partita. Non vogliono estendere il protocollo oltre ai casi principali? Sarà, ma possono succedere dei pasticci. Teniamo per comodità sempre Pjanic come protagonista. Se già ammonito, commette nella sua area un fallo che sfugge all’arbitro. Ecco il Var: secondo giallo ed espulsione. Se Pjanic, già ammonito, si tuffa in area avversaria inganna l’arbitro, riecco il Var: secondo giallo ed espulsione. Se invece Pjanic, già ammonito, fa un’entrata pericolosa e scomposta a centrocampo il Var può intervenire solo se ritiene ci sia espulsione diretta, non se ritiene che quel fallo meriti comunque una seconda ammonizione e relativa espulsione. Mi sembra un cavillo sciocco. Qual è il suo parere?”. Guardi, ho accolto il Var con una diffidenza che è diminuita col passare del tempo. Il Var non è perfetto ma ha sbrogliato molte situazioni spinose, le ha corrette, ha portato (non sempre ma in buona parte) a eliminare errori. Nell’ultimo caso evocato dal lettore I.F. il Var servirebbe non solo a far uscire il secondo giallo, ma a tutelare il Pjanic di turno, già ammonito, dalle furbate degli avversari che cercano di farlo espellere anche se nemmeno li sfiora. Non era questo, ovviamente, il caso di Pjanic a San Siro. Scrivono molti giornali: salvate il soldato Gigio. E giù appelli al procuratore di Donnarumma, alla famiglia, agli amici. Sarebbe il caso di coinvolgere nell’appello anche noi dei giornali. Se Donnarumma si fosse chiamato Arturo o Michele non ci sarebbe stato il giochino con Buffon (Gigi-Gigio) e, forse, minore fretta nella santificazione di un ragazzo di 18 anni, adesso 19, veramente forte in rapporto all’età, ma che doveva fare esperienza. La sta facendo, e non sono sempre rose e fiori. Nella finale di Coppa Italia, due brutte papere ma anche tre buone parate. Voti bassi, ma fanno parte del gioco e del percorso di crescita, che non è solo tecnico ma caratteriale. Seriamente, però, per stabilire se Gigio è il nuovo Gigi bisognerebbe aspettare almeno otto anni. Il giornalismo attuale non può permettersi lunghe attese e allora mi adeguo e dico che Brignola nell’azione dell’1-0 al Genoa mi ha ricordato il miglior Gento. Aggiungo auguri al Benevento perché torni presto in serie A, dove lascia un buon ricordo di gioco (da quando c’è De Zerbi) e con tante storie da raccontare: Sagna, Viola, Diabaté, Sandro, Brignoli, Puggioni. Si avvicina il mondiale senza Italia e ho due libri da segnalare. Il primo è “Storia della Coppa del mondo di calcio (1930_-2018). Politica, sport, globalizzazione”, editore Le Monnier. Gli autori, Riccardo Brizzi e Nicola Sbetti, lavorano all’università di Bologna. A proposito di assenza italiana dalla fase finale, ecco la frase integrale di Giulio Onesti, presidente del Coni, nel ’58: «Il nostro calcio non sa più produrre giocatori e la leggerezza di certi dirigenti di società, che si fanno guidare dal tifo cioè da un impulso irrazionale, è un altro sintomo della crisi. E come si conciliano le spese da nababbi con le disastrose situazioni dei bilanci societari? Oggi noi ci facciamo ridere dietro da mezzo mondo come i ricchi scemi del calcio». Sia scusato il linguaggio pesante di Onesti, nel ’58 certe finezze verbali erano fantascienza. Come sarebbe fantascienza, oggi, immaginare i finalisti del mondiale che vanno alla stadio in pullman, aggrappati alle maniglie, e seduto c’è un calciatore che fuma. Questa foto, Uruguay 1930, l’ho trovata in “Giro del mondo in una Coppa”, ed. il Saggiatore. Sottotitolo : “Partite dimenticate, momenti indimenticabili dell’avventura mondiale”. L’autore è Stefano Bizzotto, uno dei migliori della squadra Rai quando ha in mano il microfono, il migliore quando ha in mano la penna. Per ogni mondiale c’è un personaggio, tante chicche. Esempio: in Argentina- Messico, sempre 1930, l’arbitro fu Saucedo, allenatore della Bolivia, e guardalinee Radulescu, viceallenatore della Romania. Fritz Walter, eroe di Berna 1954, aveva una moglie italiana che si chiamava Italia. Nel ’50 i maestri inglesi furono battuti dai dilettanti Usa e nello stesso giorno la nazionale di cricket fu battuta dalle Indie Occidentali. “Il giorno più brutto nella storia dello sport inglese”, scrisse il Daily Express. Fu un gol di Gaetjens, oriundo haitiano, a battere gli inglesi. Tornato ad Haiti, apre una catena di lavanderie e fa vita tranquilla, almeno fino al 1964, quando il governo di Duvalier diventa dittatura. Due fratelli di Gaetjens si rifugiano all’estero, lui resta perché pensa di non avere nulla da temere. In luglio vanno a prenderlo i Tonton Macoutes, i sanguinari uomini della polizia segreta di Papa Doc, e lo portano nella prigione-mattatoio di Fort Dimanche. La famiglia non lo rivedrà più, né vivo né morto.