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 2018  maggio 13 Domenica calendario

Gaza in attesa di sette giorni di fuoco

GERUSALEMME «Trump make Israel great». La strada che da Gerusalemme porta a Betlemme, attraversando il quieto quartiere di Arnona, è costellata di lampioni dove fra le bandiere israeliane e americane il Museo degli amici di Sion ha appeso striscioni su cui campeggia un invito augurale. E per “fare grande Israele” il capo della Casa Bianca ha deciso di spostare domani pomeriggio qui, tra le abitazioni moderne di Arnona lontane dalle tipiche case vecchie e belle color ocra, l’ambasciata Usa. Che lascia Tel Aviv per aprire le sue porte nella Città Santa. Un passo ben più che simbolico. Da parte americana significa il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele e non dunque della Palestina. Scelta che porta allo scontro con tutto il mondo islamico. E, intanto, prima tappa di una settimana che in Israele si preannuncia bollente, ovunque, Cisgiordania e Striscia di Gaza comprese. L’inaugurazione della nuova sede diplomatica coincide, il 14 maggio, con il 70° anniversario della creazione dello Stato ebraico. Da giorni, da nord a sud, da Haifa a Eilat, le auto innalzano con orgoglio il vessillo nazionale bianco e blu con la stella di David. E il giorno successivo i palestinesi commemoreranno la Nakba, la “catastrofe”, l’inizio dell’esodo dalle loro terre per centinaia di migliaia di persone. Si prevedono giorni cruciali. Perché nei Territori, e soprattutto lungo la Striscia, chiusa e isolata, fervono preparativi capaci di culminare il venerdì successivo, per l’ottava settimana consecutiva nella zona controllata in buona parte da Hamas, in ondate di protesta volte a superare le linee di confine considerate illegittime. Già ieri sera l’aviazione israeliana ha lanciato 9 missili sulla Striscia, distruggendo un generatore e un nuovo tunnel, definito “del terrore”, nei pressi del valico di Erez. Il movimento palestinese punta a portare lungo i valichi 100 mila dimostranti, con il tentativo di abbattere recinti e scrollarsi di dosso il blocco israeliano. «Dopo 11 anni di blocco e tre guerre – intima il leader dell’organizzazione, Ismail Haniyeh – Hamas non riconoscerà Israele e non deporrà le armi. La nostra Nakba – promette – si trasformerà in una catastrofe del progetto sionista». Settimana complessa, dunque, che dopo la notte fra il 15 e il 16 maggio vedrà anche l’inizio del Ramadan, il mese del digiuno secondo la pratica islamica, e in cui approfittando del legame religioso le fila del mondo musulmano si rinsalderanno maggiormente. Hamas avverte che le manifestazioni di protesta non si concluderanno per forza il giorno 15: «Le abbiamo iniziate il 30 marzo per sottolineare il diritto del ritorno. Poi ci siamo mobilitati contro il trasferimento dell’ambasciata Usa. Quindi abbiamo invocato la rimozione immediata e incondizionata del blocco di Gaza. Le dimostrazioni proseguiranno fin quando non potremo godere di una esistenza dignitosa». Intanto si parte domani, con la festa di Israele e lo spostamento dell’ambasciata americana. Gerusalemme nelle ultime ore appare vigile. Pattuglie miste di soldati e polizia, uomini e donne armatissimi, percorrono le strade della zona araba, a est della città, mentre vengono di continuo istruite dai loro comandanti. In arrivo sono Ivanka Trump, la figlia, principale consigliera del presidente, e il consorte Jared Kushner. Il genero di Donald è stato fin dall’inizio l’uomo di punta per il Medio Oriente, oscurando così il ruolo dell’ex segretario di Stato, Rex Tillerson. Non sarà però lui il capo della delegazione, affidata invece al vicesegretario di Stato, John Sullivan. Mossa subito interpretata a Washington come il segnale evidente che nella nuova era di Mike Pompeo il Dipartimento di Stato è deciso a riprendersi il terreno perduto sul fronte mediorientale. «Jared Kushner ha finora controllato il dossier israeliano-palestinese», ha detto Martin Indyk, già ambasciatore a Tel Aviv ai tempi di Bill Clinton, al sito Politico. «Non credo che Pompeo voglia ora accomodarsi nel sedile posteriore. Questo indica che vuole anzi avere un ruolo che Tillerson non aveva». Trump non infiamma solo il Medio Oriente.