La Stampa, 11 maggio 2018
Dall’Italia soldi ad Al Nusra
Se qualcuno poteva ancora illudersi che fossero due mondi distinti e separati, il traffico di migranti e la Guerra Santa, ecco i risultati di un’inchiesta, con 14 arresti tra Lombardia e Sardegna, e sviluppi in Svezia, che ci squaderna una realtà di forti commistioni. L’Antiterrorismo ha infatti individuato due cellule di affiliati al gruppo islamista siriano Al-Nusra, con a capo un foreign fighters reduce dalla Siria, i quali lucravano sulla disperazione dei profughi, trasferivano le rimesse con il metodo della «hawala» (trasferimenti di soldi sulla parola degli intermediari) e giravano parte dei guadagni in armi e macchine per i combattenti.
«Il denaro in gran parte veniva dall’immigrazione clandestina», spiega il procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Federico Cafiero de Raho. La superprocura ha coordinato l’azione di Guardia di Finanza e polizia, servizi segreti e procure di Brescia e Cagliari. «Non abbiamo prove che questa rete abbia fatto entrare in Italia dei foreign fighters, ma è vero che parte dei soldi che questa rete gestiva provengono dall’immigrazione clandestina e sono serviti per sostenere il terrorismo».
Perno dell’organizzazione è tale Daadoue Anwar, nativo della città siriana di Idlib, l’ultima roccaforte degli islamisti. L’uomo, oggi detenuto in Svezia, è vissuto in Italia una decina di anni. «So che ha molti soldi, in passato aveva una ditta edilizia in Sardegna con la quale si è arricchito, penso facendo tante fatture false», ha raccontato un pentito che collabora con la magistratura. «Ha vissuto per anni a Olbia – racconta il dirigente della Digos di Sassari, Cristina Rapetti – dove aveva un’impresa edile molto florida con cui ha lavorato anche nei cantieri del G8 a La Maddalena».
Quando l’edilizia è andata in crisi, Daadoue Anwar si è riciclato come intermediario finanziario nella comunità siriana, ricorrendo al sistema della «hawala». Complessivamente avrebbe movimentato fino a 2 milioni di euro, su cui ha trattenuto ricche commissioni. Dalle indagini è emerso come la sua organizzazione, con uffici a Istanbul, Beirut, Khartoum, il Cairo e Raqqa, fosse in grado di far pervenire in tempi brevi somme di denaro in Siria, perfino nelle zone direttamente controllate da Al Nusra e da Daesh. Una capacità – scrive la magistratura – «strettamente legata ai rapporti del capo e dei suoi fiduciari con le organizzazioni fondamentaliste antigovernative operanti in Siria, in particolare nella zona di Idlib, in favore delle quali risulta aver finanziato anche l’acquisto di diverse armi da guerra e autovetture».
Nel frattempo, i suoi amici, i fratelli Chdid si dedicavano al business del traffico di esseri umani. Racconta sempre il pentito: «Reclutavano persone come autisti e gli offrivano 400-500 euro a trasporto. Una volta aperta la rotta balcanica, si trasferirono in Ungheria. Compravano le macchine in Italia e servendosi di autisti stranieri ed italiani, li facevano venire in Ungheria e anche quando uno degli autisti veniva arrestato in Austria, faceva due mesi di galera e poi tornava fuori».
Tutta questa attività illegale ha garantito una ricca vita agli indagati e finiva parzialmente in gloria della Jihad. Illuminante un’intercettazione tra due arrestati: «Diciamo la verità tra di noi, Jahbat al Nusra è l’unica che è nel giusto, è l’unica che applica la Sharia, né Bagdadi, né nessuno. Loro combattono per amore di Dio, Dio sia con loro». Questa era la missione ad esempio di Chaddad Ayoub, ex combattente, giunto da 3 o 4 anni a Bologna, dove lavora come magazziniere. Era lui a garantire che migliaia di euro finissero nella cittadina libanese di Arsal (dove nel 2014 vi fu un vero conflitto tra esercito di Beirut e forze islamiste), a disposizione di un non meglio identificato «generale jihadista» di Al Nusra.