La Stampa, 11 maggio 2018
Le città del futuro
Le città si trasformano, complici l’accelerazione tecnologica e le abitudini inedite. Il futuro è in arrivo: autostrade aeree, parcheggi verdi in cielo, invasione di droni, edifici verticali per accoglierli. E poi porte e portoni rivolti verso l’alto. A raccontare questa metamorfosi è il filmato «Elevation» della rivista di architettura «Dezeen» con esperti del calibro di Foster, Obirst, Otero Verzier. E, in alternativa, si andrà a popolare Marte, con i robot.
Anche a Milano si guarda avanti: «Urbania» è il titolo di «Arch Week», settimana che parte dal 23 maggio ed è curata da Stefano Boeri, Mauro Magatti e Salvatore Settis, con mostre e incontri. A Venezia, intanto, si prepara la 16ma Biennale di Architettura, dove si parlerà di «Free Space» a cura di Yvonne Farrell e Shelley McNamara, mentre grandi nomi, italiani e internazionali, progettano le città che verranno.
Lo Studio Big, per esempio, fondato dal danese Bjarke Ingels, studia come colonizzare Marte: in vista del grande balzo si stanno testando i nuovi spazi nel deserto degli Emirati Arabi con una colossale simulazione: è «Mars Science City», la città che vuole educare e ispirare le prossime generazioni di esploratori spaziali. Comprende quattro cupole geodetiche, in 17 ettari di deserto fuori Dubai, e qui vi lavorano gli scienziati in laboratori specializzati per produrre energia, cibo e acqua sul Pianeta Rosso. «Tutto cambia quando ci si avventura in mondi sconosciuti – spiega Ingels -: abbiamo cercato di capire come mutano forme e spazi. Si progetta a bassa gravità, in temperature gelide e con alti livelli di radiazione, Così si diventa creatori del nuovo ecosistema artificiale, cioè del nostro piccolo cerchio marziano della vita».
Lord Norman Foster, autore del Campus Apple e di aeroporti come quello di Pechino, per il 2020 ne prepara uno fantascientifico a Città del Messico. Ha anche disegnato un avamposto sulla Luna, progetta una colonia su Marte e inaugura il primo padiglione Vaticano alla Biennale. «La città futura è più vicina di quanto pensiamo – dice -. Le società si muovono sempre più in fretta con stili di vita che richiedono merci e servizi rapidi. L’importante è sviluppare una visione integrata e sostenibile di infrastrutture con cui adattare i centri urbani, in armonia con la natura e il nostro prezioso Pianeta». Non a caso c’è il progetto «DP World Cargospeed», da avviare a Dubai, che rivoluziona il trasporto ad alta velocità con il sistema Hyperloop: si viaggerà a oltre 700 l’ora, su rotaie semiautomatiche.
A progettare il futuro c’è anche Michele De Lucchi, architetto e direttore di «Domus»: ritiene che, se gli algoritmi regoleranno le nostre scelte, è arrivato il momento di scatenare la fantasia e prendere in mano il Bello: l’architettura deve creare i luoghi dove ritrovarsi e scambiarsi idee, mentre le nostre case diventano minuscole. Ecco perché propone «Earth Stations», con «stazioni di condivisione» per umani e droni, mentre edifici troppo sparpagliati vengono riuniti in musei, cinema e ristoranti. «Sono costruiti in materiali sostenibili sopra raccordi autostradali, ma anche in cima alle montagne».
Stefano Boeri, presidente della Triennale, pensa invece di portare i suoi «Boschi Verticali» su Marte per il 2030, ma ritiene che la sfida da affrontare adesso sia la povertà, con le baraccopoli in espansione. «Più che di “smart city” bisognerà preoccuparsi di trovare spazi per case a basso costo». E aggiunge: «Fondamentale è la mobilità sostitutiva e ci penseranno i droni». Ma – sottolinea – il problema resta l’inquinamento. Per questo prepara una città-foresta nel deserto.
«Amo il mattone», confessa Mario Botta, urbanista e architetto che ha creato l’Accademia di Mendrisio. «Prima le città si costruivano a terra, ora si è pronti a tutto. A me però piace pensare che l’uomo ha sempre bisogno del ciclo solare, di stagioni e luce». Non a caso Wang Shu, Premio Pritzker, dice che a lui non interessa andare su Marte, «ma difendere le differenze e la ricchezza delle culture: l’unica cosa che prevedo è la scomparsa degli edifici troppo elevati. Non c’è bisogno di loro nell’età di Internet».