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 2018  maggio 11 Venerdì calendario

Taranto e Alessandro Leogrande

In “Dalle macerie” una raccolta di scritti del giornalista scomparso nel novembre scorso Lungo l’intero arco della sua intensa, ma purtroppo drammaticamente breve vita di scrittore e giornalista, Alessandro Leogrande ha rappresentato la clamorosa smentita di due dei più radicati luoghi comuni che da almeno vent’anni ossessionano la nostrana società culturale. Il primo vuole il pensatore meridionale astratto, fumoso, ancorato a obsolete categorie concettuali, vittima di pregiudizio antiscientista, bizantino e dunque inconcludente nell’argomentare: il classico – detto con disprezzo – «intellettuale della Magna Grecia». Il secondo si può sintetizzare in un’esclamazione da accompagnare con un sospiro dolente: «non ci sono più gli intellettuali di una volta». Leogrande è stato un intellettuale nel pieno e più nobile senso della parola. È stato magnogreco nelle origini e nell’abilità dialettica. È stato, soprattutto, uomo di assoluta concretezza e raro rigore scientifico: di quelli, per intenderci, e non ce ne sono poi tanti, che passerebbero indenni il più severo fact- checking. Di che pasta era fatto lo si capisce leggendo Dalle macerie, il volume di Feltrinelli che raccoglie gli scritti dedicati alla sua città: Taranto. Sono vent’anni di riflessioni, racconti, testimonianze che scandiscono l’evoluzione dell’autore: giovane studente liceale, stretto collaboratore – sempre dialettico, peraltro – di Goffredo Fofi, sociologo, esploratore di territori urbani, giornalista, studioso delle frontiere, analista della questione meridionale, narratore. Cosmopolita, come si conviene a tutti gli esuli, ma senza mai perdere di vista le radici. Taranto, appunto. Una città del tutto peculiare. Sito industriale nel Sud agricolo sin dall’Ottocento, con l’Arsenale militare e i cantieri navali. Sede della più grande acciaieria del Novecento, quell’Ilva, poi Italsider, poi Riva e oggi nuovamente Ilva: il miracolo del cemento fra gli ulivi che nei disegni, o forse nei sogni, dell’Italia democristiana doveva portare al Sud benessere e, ci crediate o no è così che ce la raccontavano, un nuovo modo d’intendere l’unità d’Italia, una nuova cultura. Taranto. Il laboratorio politico che “lancia” Giancarlo Cito, il primo sindaco mediatico, il primo leghista sotto la linea gotica, il primo populista, quello che “in fondo è uno di noi” e che tanti ancora si ostinano a rimpiangere. Ne offre, materiali di riflessione, questa città. Leogrande li afferra e li analizza tutti con una lucidità espositiva che non pecca mai di freddezza: perché lui era un ragazzo appassionato, e questa passione sapeva trasmettere nella sua lingua affilata. Leggere Dalle macerie è come leggere una salutare contro-narrazione dell’Italia contemporanea, con al centro Taranto, emblema delle mille contraddizioni del presente. E alle contraddizioni Leogrande non sfugge: le fronteggia, non si arrende, si sforza, anche quando sembra impossibile, di decifrarle. E dunque studia, descrive, analizza il citismo, la crisi della sinistra, il rapporto conflittuale e mai risolto fra la città e la sua fabbrica, l’ostilità della piccola e media borghesia per l’invasione delle tute blu e quella delle tute blu per i giudici che scoperchiano (meritoriamente) il Moloch distruttivo, e s’interroga sull’angoscioso dilemma fra salute e lavoro, cultura e produzione. Il suo punto di vista non è mai apodittico. Sbaglia chi immagina che Cito sia il ras della plebaglia, perché lo votano tante brave persone. L’industria non ha portato soltanto morte e desolazione a Taranto. Taranto è meglio di Sparta e dei suoi asseriti neo-spartani. Taranto è Sud, ma il Sud non è quel paradiso contaminato che dipingono i neo-borbonici, così assolvendo, con un colpo di teatro, generazioni di classi dirigenti neghittose, succubi e colluse dalle proprie storiche responsabilità. Sta in questa netta, scientifica, propensione alla conoscenza meditata e alla profondità il limite di Alessandro Leogrande, ciò che fa di lui, come osserva nella commossa introduzione Salvatore Romeo, “uno sconfitto”? Sì, se si assume come metro di giudizio il grugnito, oggi quanto mai in voga. Ma se il senso di un intellettuale è di seminare per la conoscenza e per il futuro, senza smarrire il filo della ragione anche quando la realtà intorno appare come un teatro dell’assurdo, allora Alessandro ha vinto, per noi tutti, la sua battaglia.