la Repubblica, 11 maggio 2018
Essere atei
Egregio dottor Augias, apprezzo il suo lavoro ma confesso che talora m’imbarazza la sua dichiarazione di essere ateo. Certamente può essere a-teo per il Dio delle religioni, troppo spesso onorato come copertura dei nostri individualismi e dei nostri egoismi. Ma se v’è un Assoluto più grande di noi e che orienta la nostra vita, credo che per ogni persona che cerca di seguirlo il titolo di “ateo” non sia appropriato. È il trionfo dello spirito sulla ragione (così direbbe credo anche il prof Mancuso), ed è questo spirito che ritengo non muoia. Poiché ho molti più anni di lei, la aspetto di là anche se ora lei pensa che un “di là” non esista. Questi pensieri, che ogni tanto mi ritornano, mi hanno assediato così a lungo la scorsa notte che non ho resistito al desiderio di comunicarglieli. Mi scusi per il disturbo, e mi perdoni! Continuo a essere un suo ascoltatore e lettore. – Luigi Bettazzi – bettazziluigi@ alice. it Avrei risposto in privato a una lettera così affettuosa se il mittente non fosse stato monsignor Bettazzi, un vescovo cattolico che si rivolge a un signore come il sottoscritto che si professa tranquillamente ateo. La verità è che fin dai tempi del Concilio Vaticano II, Luigi Bettazzi si è messo in luce per le sue posizioni avanzate che solo oggi, con papa Francesco, hanno un certo spazio nella Chiesa. Uno spazio piccolo, al quale si tenta di opporsi, che tuttavia c’è e che Bettazzi annunciò in pieno Concilio citando il filosofo Antonio Rosmini (autore del saggio Cinque piaghe della Santa Chiesa) che al tempo figurava nell’Indice dei libri proibiti. Piccola aggiunta cronistica: l’intervento di monsignor Bettazzi è dell’ottobre 1965. Nel novembre 1966, l’Indice veniva finalmente abolito – regnando papa Paolo VI – dopo quattro secoli di vita segnata ora dalla crudeltà ora dal ridicolo. Nel merito della lettera sono d’accordo con monsignore. La parola ateo ha un suono sgradevole. L’ateismo però, come l’aderire a una religione, non è né un dovere né una necessità; è solo una scelta. Essere atei non vuol dire non riconoscersi in una storia, una comunità nazionale, una serie di tradizioni. Non vuol dire ignorare i valori giudaico-cristiani – tanto meno quelli della laicità – che hanno contribuito alla nostra civilizzazione; tanto più lo hanno fatto quanto meno erano dettati dal comportamento spesso di dominio della chiesa cattolica. L’ateo in buona fede che cerca di seguire il vecchio dettato neminem laedere è tanto più meritevole poiché fa quello che fa non nell’attesa di una ricompensa in un ipotetico aldilà; come è stato autorevolmente detto lo fa solo perché crede che sia bene farlo «senza obbligo né sanzione». Per quanto mi riguarda ho cercato di assorbire dall’insegnamento di Baruch Spinoza questo principio: tutta la Legge (che per un ebreo è racchiusa nella Torà) sono la giustizia e la carità. Si può anche dire in un altro modo, come fece un giorno il famoso rabbino Hillel ( I secolo a. C.). A un giovane che gli chiedeva come fare a imparare tutta la Legge rispose: «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. Questa è tutta la Torà. Il resto è commento».