la Repubblica, 11 maggio 2018
L’amaca
Rimanersene in disparte e gioire di un probabile fiasco, o peggio di una catastrofe, che ha il solo merito di avere altri protagonisti: non te.
È questa la sorte che il Pd augura a se stesso?
A giudicare dagli umori prevalenti, questa parrebbe.
Godere della propria assenza e aspettare, seduto su un bell’argine ombreggiato, che passi il cadavere del nemico.
A meno che il Pd, espletate le dovute pratiche di opposizione, decida di approfittare del tempo libero per riscoprire l’Italia come è fatta, largamente dimenticata a causa degli impegni romani, delle soverchie responsabilità, di agende gremite di incontri ufficiali. Levata la cravatta, messe le scarpe comode, l’idea di un Pd detronizzato che si aggiri nelle tante comunità operose e ingegnose che funzionano indipendentemente da chi governa (le associazioni antimafia, le fabbriche di cultura, le comunità di recupero, le cooperative agricole, le aziende innovative, le botteghe creative) potrebbe essere una buona idea. Un partito che non riesce più a essere una comunità vada a imparare, in giro per il Paese, che cosa sono le comunità, dove sono e cosa fanno quelle moderne pievi che nel presente Medioevo tengono vive dignità, solidarietà e cultura, e alto lo spirito. Imparare, ecco. Ricominciare da lì.
Lo fece il re del Marocco, che travestito da anonimo girò il paese per capire meglio come era fatto. Lo può ben fare il Pd, che sul re del Marocco ha il vantaggio, almeno teorico, di essere un po’ più alla mano.