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 2018  maggio 10 Giovedì calendario

Sanzioni Iran, l’Italia rischia tre miliardi

ROMA Dopo il rischio dei dazi Usa, arriva la minaccia delle nuove sanzioni all’Iran per l’Italia, qualcosa di cui il Pil e le esportazioni del nostro Paese farebbero volentieri a meno. Non solo perchè nel 2017 tra export di acciaio e alluminio Oltreoceano (760 milioni) e vendite a Teheran (1 miliardo e 750 milioni), l’Italia ha messo insieme affari per 2,5 miliardi (soltanto lo 0,55% dell’export complessivo, per la verità). Ma soprattutto perchè l’accordo sul nucleare entrato in vigore a gennaio 2016 con la sospensione delle sanzioni Usa e la revoca di quelle Ue all’Iran, prometteva anni d’oro per l’Italia. Le elaborazioni Sace su dati Istat parlano di una potenzialità di crescita dell’export verso Teheran fino a superare i 2,5 miliardi soltanto nel 2018 (+45%). Un pacchetto ch, sommato agli affari Usa a rischio, nel 2018 tra acciaio e dintorni fa volare il conto da pagare verso quota 3,5 miliardi, con potenzialità di crescita a due cifre. Un piatto ricco che fa gola a Russia e Cina. 
Vale, poi la pena di ricordare il prezzo pagato dal nostro Paese per dieci anni di sanzioni. Prima che scattasse sul gelo commerciale, le esportazioni italiane valevano 7 miliardi (il nostro Paese era il primo partner Ue), su per giù quanto valgono oggi le vendite a Romania o Russia. Senza contare che i nuvoloni sui rapporti con l’Iran hanno già fatto scattare il prezzo del petrolio a New York oltre quota 71 dollari al barile, ai massimi dal 2014.
CHI CI PERDEQuali sono i settori più sensibili all’effetto Iran? Dall’oil&gas alla logistica, dalle infrastrutture al medicale, dalla lavorazione delle materie plastiche all’alta tecnologia della meccanica, il made in Italy ha la sua partita ancora da giocare, sanzioni permettendo. L’Iran, oltre a essere il primo Paese al mondo per le riserve di gas naturale, il quarto per le riserve di greggio, punta a oltre 100 miliardi di investimenti stranieri per accelerare la crescita dell’industria che ha un disperato bisogno di ammodernarsi dopo anni di embargo. 
Finora gruppi come Eni, presente nel Paese da oltre 60 anni, hanno mostrato una certa prudenza in attesa di «condizioni contrattuali di lungo termine», ma i progetti di produzione e esplorazione proposti dal Paese sono oltre 50. E così l’estate scorsa il cane a sei zampe ha firmato con la National iranian oil company due Memorandum of understanding per la realizzazione di studi di fattibilità dello sviluppo del giacimento di gas offshore di Kish e della fase 3 del giacimento petrolifero di Darquain. 
Passando alla meccanica, secondo i calcoli dell’Ufficio studi di Anima Confindustria, l’anno scorso le esportazioni del settore sono tornate ai livelli del 2012 (422 milioni): rispetto allo stop alle sanzioni, l’export di tecnologia italiana rappresentata da Anima Confindustria è cresciuto del 33%. E questo perchè vanno a ruba in Iran le turbine a gas e la calderia, come le valvole, rubinetti e forni industriali italiani. Per il resto, basti pensare agli accordi messi in cantiere dal 2016 sull’asse Roma-Teheran, ancora in rampa di lancio. Tra i principali il gasdotto di Saipem (4,5 miliardi), le infrastrutture del Gruppo Gavio (4 miliardi), gli impianti siderurgici Danieli (pezzi di ricambio nel settore auto: 3,8 miliardi) e la fornitura di velivoli Atr-Leonardo (400 milioni). Fs, poi ha un contratto complessivo da 3,5 miliardi per realizzare dell’alta velocità in Iran. E c’è l’intesa di Enel con una società iraniana di esportazione di gas, mentre Sea Aeroporti costruirà e gestirà l’aeroporto Mehrabad di Teheran con un’omologa iraniana (Iac). Un po’ tutto con la benedizione di Cdp, che dovrebbe fare da garante istituzionale su molti dei contratti pubblici e privati sottoscritti. Chissà quando a questo punto.