la Repubblica, 10 maggio 2018
Si discute sul premier
ROMA. Il treno 5Stelle-Lega è ripartito. Ma si è già fermato alla prima stazione, quella di Palazzo Chigi. La leadership è subito contesa, i nomi dei ministri ignoti, il programma-contratto tutto da scrivere. Sarà la partita dei prossimi giorni (non molti, quelli che il Quirinale intende concedere) dall’esito tutt’altro che scontato. Intanto si parte, però, e non era affatto scontato.
Nelle ore in cui tutto sembrava precipitare verso l’incarico del Colle a un tecnico per il governo “neutrale”, infatti, Di Maio e Salvini fermano le lancette della crisi. Si incontrano alle 13 a Montecitorio, chiamano il Quirinale, chiedono e ottengono tempo perché qualcosa sta per succedere. Quel qualcosa è Silvio Berlusconi che compie dopo 66 giorni dal voto il famoso “passo di lato”. Arriva a fine giornata la nota attesa dai due leader con cui il Cavaliere annuncia di non volersi trasformare in ostacolo per la nascita del governo e soprattutto in pretesto per riportare il Paese al voto. Nessun sostegno esterno ma astensione, come tradurranno poi i forzisti. Sempre che l’inquilino di Palazzo Chigi sia di “garanzia” e non ostile. Del resto, con una vistosa retromarcia, il capo politico del Movimento in mattinata aveva agevolato la svolta, negando pubblicamente di aver mai posto veti sul leader forzista e il suo partito. “Dal Male assoluto a “non ci sono veti” il passo avanti c’è, solo che noi gli abbiamo tolto l’alibi, adesso tocca a loro fare il governo se ne sono capaci”, ragiona una vecchia guardia come Osvaldo Napoli.
Già, perché i riflettori adesso si accendono tutti sui due protagonisti rimasti soli sulla scena, dato che anche Giorgia Meloni con Fdi si tira fuori dalla maggioranza. Oggi Salvini e Di Maio torneranno a vedersi, dovranno iniziare a fare sul serio. Dato che nella mezzora a quattr’occhi il leader dei 5 stelle si è mostrato alquanto evasivo soprattutto sulla scelta del premier. La proposta avanzata al leghista, affiancato da Giancarlo Giorgetti, è di procedere “per step”. Prima, la stesura del famigerato contratto in quattro massimo cinque punti. Secondo passaggio, l’individuazione di una figura “terza” ma politica che possa interpretare al meglio il programma. Quindi, la squadra dei ministri. Una sequenza che tuttavia ha convinto poco Salvini e il suo capogruppo. Serve subito un patto per il premier, pretendono i più pragmatici leghisti. Il timore non dichiarato è che dopo quattro o cinque giorni di confronto sul programma, al dunque, il Movimento torni alla casella di partenza riproponendo il cavallo di battaglia: “Di maio premier”. Il nome del capo politico in effetti è tornato a circolare in queste ore per una ipotesi “staffetta” con Salvini che dal Carroccio però stroncano sul nascere. Come sembra scemare, e non per un veto grillino, la quotazione di Giorgetti. Cassati da entrambi i fronti tutti i nomi sparati, da Carlo Cottarelli a Giulia Bongiorno, passando per Enrico Giovannini. Dal Movimento il sospetto invece è un altro, che alla fine Salvini tema di lanciarsi nell’operazione senza il “paracadute” Berlusconi. Salvini ringrazia il Cavaliere con una nota e rivendica per sé la guida del nuovo esecutivo: “Per me sarebbe un onore guidare il Paese, o si chiude veloce o si vota”. Problemi sulla leadership? “Falso” nega Di Maio uscendo da Montecitorio. Tutto invece è in alto mare.
Ecco, il Quirinale è sì disposto a concedere qualche giorno alla trattativa e congelare il governo di “servizio” ma attende chiarimenti “certificati” sui passi avanti compiuti. Nulla a scatola chiusa. Stamattina, da Firenze dove parla ad un meeting con alcuni premier europei, il presidente pianterà alcuni paletti, soprattutto rispetto all’Europa e all’osservanza dei trattati. Ma la prova regina attesa è soprattutto una: il nome del premier. A quel punto il candidato sarà convocato per l’incarico. E solo allora verrebbero concessi altri giorni per programma e ministri, prima che il potenziale premier torni al Colle per sciogliere la riserva. Anche perché non è passato inosservato al Quirinale come nel giro di poche ore Salvini e Di Maio siano passati dalla richiesta dell’incarico per il leghista, all’invocazione di elezioni per l’8 luglio, infine al nuovo tandem a due. Serviranno prove perché anche quest’ultimo non appaia come l’ennesimo bluff.