Libero, 9 maggio 2018
I francesi alla conquista delle aziende italiane piccole
Parmalat insegna: la battaglia per la conquista di un’eccellenza alimentare italiana può costare caro, se non come soldi quantomeno in termini d’immagine. Così alla Regione Emilia Romagna è venuta un’idea: cari cugini francesi, venite a prendervi le nostre aziende, le nostre migliori idee quando ancora sono in erba. Basta un pugno di soldi, buoni consigli, un percorso di crescita e i nostri imprenditori in calzoncini corti sono vostri. Va detto che sulla cura delle startup – e non solo – l’Italia mangia polvere da decenni rispetto a qualsiasi Paese possa essere catalogato “ad economia avanzata”. Negli ultimi due-tre anni sono stati fatti importanti passi avanti ma, evidentemente, non basta, così la fuga dei cervelli viene agevolata anche grazie alla pubblica amministrazione. Una presa di coscienza che ha un suo lato nobile. Tanto è vero che ai francesi viene srotolato un tappeto rosso per andare a caccia nella riserva italiana di startup innovative del settore alimentare e della mobilità sostenibile. LA REGIONE Una mano gliela dà Aster, società consortile della Regione Emilia Romagna per l’innovazione e la ricerca industriale, che ha stretto una partnership con TheCamp, nome inglese ma con testa, cuore e portafoglio principalmente Oltralpe, incubatore promosso da Crédit Agricole in collaborazione con alcune multinazionali (Air France, Sanofi, Vinci, Accenture ecc.) e istituzioni locali francesi (Regione Paca e Departement des bouches du rhone). Il 22 maggio a Bologna 10 giovani imprese innovative italiane, portate da Aster, concorreranno alla selezione «per un percorso di accelerazione d’impresa» che si svolgerà da settembre a novembre a Aix-en-Provence. Se si riveleranno startup di successo, i francesi le lasceranno tornare in patria? Forse, se utile allo scopo. Ma il capitale e la fetta maggiore dei profitti non di certo. La scelta della città emiliana non è un caso: la Regione è la patria della Food Valley tricolore (dove Crédit Agricole è di casa, vedi Fiera di Parma e quindi Cibus) e ha una storia legata ai motori e all’innovazione tecnologica. Sono molto alte le probabilità che le idee migliori in questi settori nascano qui. Partecipare alle selezioni non vuol dire comunque sfondare. Verranno individuate da 1 a 3 startup italiane che parteciperanno alla selezione finale insieme ad altre neo aziende provenienti da tutto il mondo. Una consolazione: non siamo gli unici a donare le migliori idee su un vassoio d’argento. CONTRAPPESO Un’altra notizia, sempre di ieri, fa però da parziale contrappeso, ed è quella che annuncia la nascita di FoodForward. Anche in questo caso il nome è inglese ma nasconde parecchio made in Italy. Si tratta di un programma di accelerazione dedicato ai progetti innovativi e startup del settore food e retail. L’iniziativa viene definita “di sistema” e coordinata, è vero, da Deloitte, ma che vede schierarsi Amadori, Cereal Docks (di Fiorenzuola d’Arda in provincia di Piacenza) e il gruppo Finiper in qualità di partner industriale e Innogest, Digital Magics, Seeds&Chips e Federalimentare Giovani quali primari player dell’ecosistema dell’innovazione. L’obiettivo di FoodForward è di fare di Milano un centro del foodtech a livello globale. Regione Emilia Romagna permettendo. riproduzione riservata nnnL’azienda farmaceutica giapponese Takeda ha raggiunto un accordo per rilevare la rivale irlandese Shire, con un’offerta di 46 miliardi sterline (52 miliardi di euro, 64 miliardi di dollari). Non è stato semplice arrivare all’accordo. L’ok è la conferma del via libera del cda di Shire rilasciato lo scorso 25 aprile e arrivato dopo quattro precedenti offerte tutte rifiutate. Si tratta della maggiore acquisizione all’estero da parte di una società giapponese. Nasce così il nono gruppo farmaceutico mondiale in termini di fatturato. Fila, il marchio simbolo della creatività italiana, cresce negli Stati Uniti. Fabbrica italiana lapis ed affini ha acquistato Pacon per 340 milioni di dollari. L’operazione conferma la volontà di internazionalizzazione della società italiana che, con Pacon, stima di raddoppiare le vendite sul mercato americano e di essere in grado di realizzare «significative sinergie». nnnSi potrebbe dire: ecco i soliti francesi che adocchiano un settore e cercano, sovente riuscendoci, di metterci le mani sopra e pappaparselo. Ultimamente sembra che stiano puntando decisi all’agroalimentare.La conquista magistrale, fatta a suo tempo, di Parmalat da parte di Lactalsis, è stato un vero caso di scuola. Dopo la disfatta del parmense Tanzi e del suo impero, costruito intorno al numero uno del latte italiano Parmalat, il gruppo che era riuscito, grazie al commissario Bondi, a ripulirsi e diventare ricco, avendo recuperato circa 1,3 miliardi euro dalle cause (raddoppiabili per i recuperi giudiziari ancora in corso), è finito, anche a causa del poco coraggio delle imprese di settore a capitale italiano,nelle mani dei francesi per un importo poco superiore a quello giacente nelle casse. Importo che poi venne usato da Lactalis per ricomprarsi la loro filiale Usa. Da allora il beneamato made in Italy agroalimentare, essenzialmente basato su Pmi e micro imprese, è stato continuamente monitorato dai transalpini (Danone e Lactalis, ma non solo) ed è diventato oggetto del desiderio. D’altronde che i francesi siano di gran lunga più capaci di noi in acquisizioni e partecipazioni azionarie, sempre almeno di maggioranza relativa, è inconfutabilmente vero. Nella moda grazie a Lvmh e Kering, le due maggiori finanziarie del lusso del globo, si sono inglobati gioielli come Bulgari e Gucci, lasciando fuori solo poche altre grandi maison nostrane che, pur allettate, hanno rinviato al mittente ogni proposta. Nelle telecomunicazioni e media televisivi sono pesantemente presenti in Telecom e Mediaset, nelle banche e finanza posseggono la ex Bnl e partecipazioni importanti in Generali. Sicuramente hanno imprenditori e finanzieri più arditi dei nostri e soprattutto uno Stato che li accompagna con ben altro piglio e impegno di quello che ha sa fare il nostro. Tutta questa disamina dei fatti, accaduti in questi ultimi decenni, dovrebbe servire a mettere in guardia politica, finanza e imprenditori da passi francesi, finora, moda a parte, mai amichevoli nei nostri confronti. È facile ipotizzare nuove azioni anche di rilevanza planetaria, magari una Total verso Eni o una Edf verso Enel, fra l’altro già molto presente attraverso Montedison, predata negli anni 90 dopo la disfatta Gardini. Così come Axa potrebbe imbastire qualcosa con Generali, non certo per finire sotto il controllo del gigante assicurativo nostrano di Trieste. Ma anche senza guardare così in alto, potrebbe essere proprio l’agroalaimentre,enogastronomia compresa, ad interessare maggiormente, in questa fase, i transalpini.Proprio nel settore vitivinicolo, monsieur Arnault, gran patron della costellazione Lvmh, che possiede grandi brand di champagne e ultimamente ha acquisito il marchio Cova, potrebbe tentare qualche colpo di fioretto su marchi italiani di grandi rossi piemontesi o toscani. Bene sarebbe che il sistema Paese, nelle sue varie articolazioni pubbliche e private, rialzasse la testa rivendicando e difendendo da attacchi ostili il made in Italy, ultimo vero caposaldo di una italianità che ha perso troppi colpi negli ultimi decenni. riproduzione riservata