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 2018  maggio 09 Mercoledì calendario

L’Argentina chiede aiuto al Fmi

L’Argentina e il Fondo monetario internazionale ancora avvinghiati in un malinconico tango, el pensiero triste que se baila. 
Il presidente argentino Mauricio Macri ha annunciato di aver parlato con la direttrice del Fondo, Christine Lagarde, per ottenere una “linea di credito”. Lo ha fatto nel giorno in cui il dollaro ha superato la soglia di 23 pesos. Meno di una settimana dopo il doppio rialzo dei tassi di interesse che hanno sfondato il 40%, il più alto del mondo. Superiore a quello di Suriname (25%), Venezuela (21,7%) e Haiti (20%), Paesi che la spocchia del governo argentino non contempla neppure sull’atlante geografico. L’importo della linea di credito non è stato comunicato ma pare vicino ai 30 miliardi di dollari. 
A reti uni unificate – proprio come nei momenti clou della storia argentina – Macri ha spiegato che la richiesta all’Fmi si è resa necessaria per proseguire con «l’unico cammino che esiste per uscire dalla nostra situazione, aggiungendo che il contesto mondiale è cambiato a causa dell’aumento dei tassi di interesse e del prezzo del petrolio, e l’Argentina resta fra i paesi che più dipendono dal finanziamento estero», ed è per questo che il suo governo ha deciso di negoziare una «linea di appoggio finanziario» con il Fmi. 
Il ministro del Tesoro argentino, Nicolas Dujovne, a supporto del presidente, ha aggiunto che «più certezza riusciamo a creare sui mercati internazionali,meglio è». Poi ha aggiunto che i risultati iniziano ad arrivare: «Sta crescendo l’occupazione, diminuendo la povertà, aumentano le esportazioni e abbiamo lanciato una riforma per ridurre la pressione fiscale. Siamo però più esposti alla volatilità dei mercati», ha aggiunto Dujovne, secondo il quale «il cambio di contesto globale, come l’aumento dei tassi negli Usa, ha portato a uno spostamento del flusso di capitali dalle economie emergenti a quelle centrali».
L’aumento dei tassi annunciato dalla Banca Centrale Argentina venerdì scorso, così come la riduzione dell’obiettivo di deficit fiscale previsto per il 2018, dal 3,2 al 2,7% non sono risultati sufficienti, ha segnalato Dujovne, per cui si è deciso di negoziare un «finanziamento preventivo» con il Fmi.
Ecco, questa è l’ufficialità dei comunicati e delle dichiarazioni presidenziali: l’altra verità è che gli obiettivi più ambiziosi di Macri sono stati mancati: Pobreza zero e lucha a la inflacion, povertà zero e lotta all’inflazione, sono le due sconfitte più palesi. L’obiettivo”inflazione al 15%” resta una chimera: nel 2018 il 25-30% è il dato più plausibile. 
Gli investimenti stranieri, dopo gli anni “protezionistici” di Cristina Fernandez de Kirchner, sono arrivati. Vero. Una parte sono stati destinati al miglioramento delle infrastrutture ma un’altra, forse più consistente, è stata drenata dalla speculazione interna e internazionale. Più di un ministro argentino ha candidamente dichiarato, pochi mesi fa, l’intenzione di mantenere i capitali all’estero. «Non è il momento del rimpatrio». 
La liquidità è stata dirottata nell’acquisto di quote del debito argentino, attratto dalla certezza dell’incasso di lucrosi interessi; ma poi, come la storia finanziaria insegna, i capitali finanziari speculativi hanno trasvolato verso lidi meglio remunerati e più sicuri. Ovvero i treasury bond. “Don’t cry for me, Argentina”, è del 1975, gli anni bui della dittatura. Molte cose sono cambiate. 
L’arricchimento illecito e la speculazione finanziaria a danno del proprio Paese – attuata dai politici argentini – restano intonsi.