La Stampa, 9 maggio 2018
Studiare gli ominidi del Pleistocene superiore
Il progetto su cui lavorerà per i prossimi tre anni è avvincente: utilizza le immagini satellitari per creare una mappa della distribuzione dei fossili nell’Europa primordiale. Ma, raccontando la storia di Elena Ghezzo, a intrigare non è solo l’aspetto scientifico: è anche il vissuto personale, legato alla volontà di non abbandonare la ricerca.
Per mantenersi la ricercatrice veneziana ha lavorato in Comune: occupandosi di gestione delle spiagge, con la testa sempre rivolta al sogno di scavare. «La paleontologia ci aiuta a conoscere il mondo in cui viviamo e a capire attraverso quali cambiamenti ci siamo adattati con il trascorrere del tempo geologico». I sacrifici hanno portato al risultato sperato. Da settembre riprenderà a cercare fossili, grazie a una delle 15 borse «Marie Curie» che si è aggiudicata l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Il programma la porterà a lavorare a Eugene, in Oregon, e, dopo una sosta a Edimburgo, rientrerà in Laguna.
Parola-chiave del suo progetto è «Gis». Si tratta di una tecnologia già impiegata oltreoceano in settori come la geografia, l’urbanistica e l’architettura che applica la georeferenziazione dei dati e crea mappe partendo da informazioni sulle popolazioni e sul clima di un certo periodo: in questo caso il Pleistocene superiore, 126 mila anni fa, in una fase di espansione degli ominidi fuori dall’Africa.
«L’Italia è ricca di giacimenti e la maggior parte dei siti fanno riferimento a questo periodo – dice -: da Fumane a Steggio, ma ritrovamenti importanti sono avvenuti anche nella zona dei Gessi a Bologna, nella provincia di Roma e a Isernia». Ora l’obiettivo è unire i punti, quelli noti e altri da scoprire. E indagare l’arrivo delle prime popolazioni umane moderne in Europa: «Dove e come vivevano e gli effetti sulle altre specie».