la Repubblica, 9 maggio 2018
I pericoli dell’eccesso digitale
Gerd Gigerenzer: “Temiamo le cose sbagliate distraendoci dai veri pericoli” N uvole pesanti e pioggia costante. Ma è nulla rispetto alla cupezza delle visioni di Gerd Gigerenzer, scienziato cognitivo tedesco, direttore del Max Planck Institute for Human Development di Berlino e consigliere del ministro della giustizia Katarina Barley. Lo abbiamo incontrato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, dove era stato chiamato per una lezione dalla Fondazione Tim, durante una giornata di temporali. Gigerenzer, 71 anni, è un signore dai modi gentili ai limiti della timidezza. Al contrario delle sue idee. Davanti ad un caffè, comincia a snocciolare tesi al vetriolo che hanno spesso come centro il governo cinese. «Quella europea è una società ansiogena e spaventata», esordisce. «Ormai la convinzione di esser sotto assedio è costante anche se c’è più probabilità di esser colpito da un fulmine che restar vittima di un attentato. E tutto questo ci porta ad un atteggiamento di chiusura, a correre sempre meno rischi e a pretendere dagli Stati un’attitudine paternalistica». Cosa intende? «Temiamo le cose sbagliate distraendoci dai veri pericoli. Se da un lato l’era digitale offre più scelta, e noi passiamo sempre più tempo sullo smartphone, dall’altro moltiplica le possibilità di manipolazioni. Investiamo molto in tecnologia, poco in educazione alla tecnologia e rischiamo di divenirne schiavi». Non le sembra esagerato? «Al Ministero di giustizia tedesco stiamo analizzando i sistemi usati dalle banche e dalle assicurazioni per valutare i clienti spesso a loro insaputa. Oggi a tutti viene affibbiato un punteggio. A volte, come nel caso di Uber o di Booking, è palese e a due direzioni. L’autista valuta il cliente e il cliente l’autista. Ma in futuro questo metodo verrà applicato a 360 gradi. In Cina, nel 2020, vogliono riunire tutte le banche dati. Ogni singolo cittadino verrà valutato dal Social Credit System: gli verrà affibbiato un punteggio che crescerà o scenderà in base alle sue azioni. Non indicherà solo la solidità come creditore, ma anche il comportamento politico, sociale e come utente del Web. Un datore di lavoro domani potrà quindi guardare a questo numero prima di assumere qualcuno. Sarà un sistema di sorveglianza totale. Ricevi punti se visiti i genitori anziani, ti vengono tolti se commetti un’infrazione stradale, se navighi sui siti sbagliati o vedi le persone sbagliate. La differenza è che in Cina è un obbiettivo dichiarato, negli Stati Uniti invece la raccolta dei dati è segreta. Ma alla fine è una differenza meno profonda di quel che si crede: il legame stretto che esiste fra lo Stato cinese e le compagnie hi-tech c’è anche negli Usa». La tradizione democratica europea dovrebbe aiutarci. «Lei è italiano, io tedesco. Mi sembra che nessuno dei due possa dire di vivere in un Paese con una lunga tradizione democratica. Il Social Credit System cinese è pensato anche per dare ai cittadini la possibilità di esprimere a loro volta una valutazione su aziende, servizi, istituzioni sperando così di ridurre la corruzione. Se dovesse funzionare e aumentare l’efficienza, altri Paesi totalitari lo adotteranno. Si tratta della nascita dell’assolutismo digitale d’era moderna, più efficiente delle nostre democrazie delle quali in Cina si fanno gioco prendendo ad esempio fenomeni come la Brexit o l’elezione di un personaggio come Donald Trump. Loro sono convinti che la nostra democrazia non sopravviverà. Dobbiamo quindi scegliere se vogliamo un futuro del genere». Nel primo episodio della terza stagione della serie “Black Mirror” accedeva qualcosa del genere. «Esatto. Solo che in quel caso non c’era nessun governo coinvolto. E sono certo che a molte persone piacerà ricevere voti e poterli dare. Del resto Eric Schmidt, ex ad di Google, una volta disse: “Se sai che sarà una cosa che dovrai nascondere, meglio non farla”. Ma la totale trasparenza è anche controllo totale. Come nel romanzo Il Cerchio, di Dave Eggers». Eppure non c’è dubbio che viviamo molto meglio oggi di 30 o 40 anni fa. È un dato di fatto e vale per tutto il mondo. E buona parte si deve alla tecnologia. «È vero. Ma almeno chiediamoci se questi successi valgano il prezzo che ora rischiamo di pagare».