la Repubblica, 9 maggio 2018
I furbetti del Parlamento che si sono tenuti una poltrona di riserva
ROMA La paura del voto anticipato è dipinta sul volto dei peones in Parlamento, ma dieci di loro possono dormire tra due guanciali: comunque andranno le cose, governo neutrale o nuove elezioni, cadranno in piedi. Sono quelli col doppio incarico che non hanno scelto tra il seggio di parlamentare e quello di consigliere o assessore regionale o sindaco di un Comune con più di 15 mila abitanti. Il più noto, il governatore dell’Abruzzo Luciano D’Alfonso, eletto senatore pd lo scorso 4 marzo, ieri è stato salvato dal consiglio regionale che ha respinto (16 contro e 15 a favore) l’istanza di incompatibilità nei suoi confronti. «Il contrasto – sostiene D’Alfonso – scatta nel momento cui la giunta per il regolamento del Senato certifica lo status ufficiale di senatore. Questo non è ancora avvenuto. Mi servono tre-quattro settimane per completare alcune cose che ho in sospeso in Abruzzo, poi deciderò». Fino a quel momento si terrà entrambe le poltrone anche se l’articolo 122 della Costituzione parla chiaro: «Nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una giunta regionale e a una delle Camere del Parlamento». Anche Francesco Acquaroli, deputato di Fratelli d’Italia e sindaco di Potenza Picena (15.800 abitanti, in provincia di Macerata), non ha scelto nonostante lo preveda la legge 56 del 2014 per i primi cittadini. «Presto valuterò, anche se questa norma è discutibile e pure scritta male. Non è che uno può abbandonare così su due piedi il proprio Comune». Non è che lei si è voluto tenere entrambe le cariche, temendo il ricorso alle urne? «Anche a Potenza Picena si vota tra un anno, non mi cambia nulla». Il voto, però, spaventa un po’ tutti. «La nazione non può permetterselo», è categorica Wanda Ferro, eletta con Fratelli d’Italia deputata e consigliera in Calabria. «Ho sempre detto ai miei elettori che avrei tenuto entrambe le cariche fino all’ultimo giorno consentito dalla legge, ma senza percepire l’indennità: rinuncio a quella della Regione che è più alta di quella di Montecitorio. Non opto perché ho subito un torto. Sono entrata in Consiglio regionale con due anni e mezzo di ritardo, dopo aver vinto due ricorsi al Tar e dopo che una sentenza della Consulta aveva bocciato la legge elettorale calabrese, perché escludeva dal Consiglio il miglior candidato presidente perdente. Roma o Reggio Calabria? Eh, che dilemma!», sospira. Sono incompatibili anche Lara Magoni (assessore in Lombardia e senatrice di Fratelli d’Italia); Francesco Cannizzaro (consigliere regionale in Calabria e deputato di Forza Italia); i leghisti varesini Dario Galli, deputato e sindaco di Tradate e Leonardo Tarantino, deputato e sindaco di Samarate; Raffaele Topo, consigliere regionale della Campania e deputato pd; Claudia Terzi, leghista, nel giro di un mese è diventata onorevole e assessora nella giunta Fontana in Lombardia. «Quando ho detto ai funzionari della Camera che intendevo optare per la Regione me l’hanno chiesto quattro volte: in genere si sceglie Roma. Mi hanno spiegato che la via più semplice non è presentare le dimissioni in Parlamento, perché possono passare anni: così la giunta delle elezioni in Lombardia esaminerà il mio caso la settimana prossima, dichiarandomi incompatibile, a quel punto avrò un mese di tempo per l’opzione». In verità per dimettersi da parlamentare, in caso di incompatibilità, non serve nemmeno un voto, basta dichiararlo, come ha dimostrato ieri il neogovernatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga: il presidente Fico ha comunicato la sua decisione all’assemblea. Fine del discorso. Controverso è il caso del deputato dem Andrea Rossi, sottosegretario nella giunta Bonaccini in Emilia-Romagna. «Ma io mi sono dimesso dalla Regione il 26 marzo, partecipo alla giunta ma non come membro. Non è un’incompatibilità». Poi c’è chi si è dimesso e ora rischia di restare senza seggi, come Galeazzo Bignami, 42 anni, Forza Italia, che ha lasciato il Consiglio regionale emiliano il 29 aprile. «Se temo il voto? Sono i rischi di chi fa politica», commenta asciutto in Transatlantico. «Vedo che il Pd D’Alfonso l’ha salvato, contro di me i dem avevano già fissato l’udienza per la decadenza: due pesi e due misure». Un altro che si era messo in regola è l’ex europarlamentare pd Gianni Pittella: «Non giudico i colleghi che non hanno ancora scelto», dice da vecchia volpe. «Andare al voto ora sarebbe follia». Poi, da consumato attore, aggiunge: «Non credo che avrei problemi a farmi ricandidare, io la politica la amo a tal punto che la farei anche senza cariche».