la Repubblica, 9 maggio 2018
Così si lascia l’Iran ai cinesi
L’Iran è un regime del terrore. Il cosiddetto accordo con Teheran per prevenire l’atomica ha eliminato le sanzioni, in realtà gli consente di arrivare all’arma nucleare. La loro promessa era una menzogna». Così Donald Trump ritira gli Stati Uniti «dall’orribile accordo che non ha portato la pace e ha finanziato i terroristi». E adesso cosa faranno gli altri attori di questa temibile partita? Il Demolitore Capo continua la sua azione preferita: cancellare ogni eredità di Barack Obama. Il ritiro dall’accordo sul nucleare iraniano va messo a confronto con la scommessa del suo predecessore. Obama era consapevole dei tre limiti di quell’accordo: ha durata breve (scade nel 2025), non pone limiti allo sviluppo di arsenali missilistici, né al sostegno iraniano verso forze eversive e destabilizzanti come Hezbollah. Però Obama era convinto che dentro la società civile iraniana e perfino in seno alla classe dirigente c’è una «voglia di Occidente», che merita di essere incoraggiata. Nel mio recente viaggio in Iran ho raccolto ampie testimonianze su quella voglia di normalità e di apertura all’Occidente, America inclusa. D’altronde Obama prese atto del fallimento di un embargo mantenuto contro un paese ben più piccolo e povero, Cuba: dove i disagi economici non hanno portato a un cambiamento di regime. La reazione di “tutti gli altri” ora è il vero interrogativo. Trump minaccia di colpire con le nuove sanzioni Usa anche i paesi terzi che dovessero normalizzare i loro rapporti con Teheran. È quello che viene definito – con un eufemismo pudico – la “extraterritorialità” delle sanzioni americane. In realtà è prevaricazione imperiale, di una superpotenza che trasforma la propria legge in un diktat erga omnes. Anche su questo ho avuto ampie prove visitando l’Iran nei giorni scorsi: poche imprese europee osano affacciarsi su quel mercato, per paura delle ritorsioni americane. Adesso però l’Europa è a un bivio. Se crede nell’accordo che reca la firma di Francia, Inghilterra e Germania, dovrà andare a un confronto duro con l’Amministrazione Trump. È una prova a cui è atteso soprattutto Emmanuel Macron. A differenza di Angela Merkel, il presidente francese era convinto di avere una relazione privilegiata con Trump. Ora incassa il flop clamoroso della sua recente missione a Washington. L’Europa ha un test serio, si vedrà se ha una politica estera comune, e se è disposta a reggere un braccio di ferro sulle sanzioni. Che andrebbe ad aggravare altri contenziosi atlantici, come quello sul protezionismo. Se non sarà l’Europa a offrire una sponda all’ala moderata del regime iraniano, altri lo faranno di sicuro. Tra i firmatari dell’accordo ci sono anche Russia e Cina. Già adesso la penetrazione cinese nell’economia iraniana è visibile. Cina e India sono i due maggiori importatori di petrolio iraniano, e vista la loro sete energetica di certo non smetteranno di acquistarlo. Uno scenario possibile è quindi lo “scivolamento a Oriente” dell’Iran. Contro i desideri della sua opinione pubblica e anche di un pezzo della classe dirigente, che diffida delle mire cinesi o russe sul paese. Molto prima che il Grande Demonio fosse anglo-americano, la Persia era stata concupita dall’impero zarista e da altre potenze orientali. Poi ci sono gli attori più vicini. Benjamin Netanyahu assapora il suo trionfo. Il principe saudita Muhammad Bin Salman si considera anche lui un vincitore. Ma i bilanci si faranno più avanti. Se questo gesto americano dovesse rafforzare l’ala più intransigente nel regime degli ayatollah, se l’Iran ricomincerà immediatamente a lavorare sulla costruzione della sua atomica, la vittoria israeliana e saudita potrebbe rivelarsi effimera. In un crescendo della corsa agli armamenti non ci saranno veri vincitori in Medio Oriente, l’insicurezza aumenterà per tutti. Chi s’illude di replicare la “stabilità nella deterrenza” che ci fu tra Usa e Urss nella guerra fredda, sorvola sulle profonde differenze di un equilibrio multipolare come quello mediorientale. Ma anche il presidente iraniano Hassan Rouhani affronta un test: deve dimostrare la sua forza interna contro i falchi del regime islamico. Se riesce a rinviare il rilancio dell’atomica, può essere lui a coalizzare europei, russi e cinesi, per isolare Trump.