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 2018  maggio 09 Mercoledì calendario

Ancora sul disastro dell’Atac

Ci sono dettagli che dicono tutto a proposito di come non viene governata una città. L’Atac, disastrata azienda di trasporto pubblico di Roma, è priva del capo del personale. Parliamo di 12 mila dipendenti, più di quelli dell’Alitalia: con un tasso di assenteismo, ha raccontato ieri il nostro Lorenzo D’Albergo sulle pagine della cronaca cittadina, che viaggia ormai al 13,7 per cento, contro il già poco edificante 12,1 di un anno fa. Quanto ciò abbia a che fare con la scena apocalittica di un autobus che prende fuoco e poi esplode a cento metri da Palazzo Chigi non possiamo dirlo. Certo, però, quel falò è una sintesi spettacolare della condizione che vivono oggi la municipalizzata del trasporto pubblico più grande del Paese e la stessa Capitale. Sarà pure perché il suo vertice, il quarto in appena quindici mesi, è tutto assorbito dal tentativo di convincere il tribunale a concedergli il concordato, o per qualche altra ragione che non conosciamo. Ma che l’azienda non sia governata è una realtà sotto gli occhi di tutti. E non riuscire a governare l’Atac significa, appunto, non riuscire a governare la capitale d’Italia. Quasi due anni sono trascorsi dalle elezioni che con proporzioni plebiscitarie hanno affidato la città a Virginia Raggi, e la scusa della pesante eredità del passato ( da noi mai disconosciuta) si affievolisce sempre più man mano che il tempo passa. Consegnando alla sindaca e alla sua giunta una responsabilità crescente in una situazione oggettivamente sconcertante. Di sicuro non migliore rispetto a quella per cui il suo predecessore Ignazio Marino, disarcionato dopo due anni, veniva messo alla gogna quasi quotidianamente. Prendiamo i rifiuti. Il 60 per cento circa della spazzatura prodotta nella capitale, un milione di tonnellate l’anno, viene esportato nelle altre Regioni italiane, che però adesso dicono basta. Le gare per l’affidamento del servizio di trasporto e smaltimento dell’immondizia sono andate deserte, così, se entro il 7 luglio non si troverà una soluzione, il rischio di andare incontro a un’estate non solo rovente, ma anche maleodorante, si potrebbe fare concreto. Le strade sono sporche fino all’inverosimile né la girandola dei responsabili dell’Ama (ne sono saltati già cinque) che fa il paio con quella degli assessori ha dato una svolta all’igiene urbana. Eppure il problema, secondo l’intera scala gerarchica capitolina, semplicemente non esiste. Con l’arrivo della primavera le aiuole si sono rapidamente trasformate in savane, con molti alberi caduti per la nevicata di fine febbraio che sono ancora in attesa di pietosa sepoltura. Quanto allo stato del manto stradale, non resta che stendere un velo pietoso. Il Comune stesso ha censito 50 mila buche, e in questi primi mesi dell’anno si è aperta in media una voragine ogni 48 ore. L’Ance insiste a denunciare la paralisi degli appalti per 78 milioni di euro di lavori di manutenzione: bloccati, a quanto pare, anche dalla difficoltà di trovare commissari a causa delle norme imposte dal nuovo codice. Il che starebbe a sottolineare un concorso di colpa da parte dello Stato centrale, ovvio. Perché è vero che se le cose nella capitale d’Italia non vanno per il verso giusto il governo della Repubblica non può chiamarsi fuori. Di sicuro nell’ordine pubblico le responsabilità sono evidenti. Interi pezzi della metropoli, come la Romanina dove comandano i Casamonica, oppure Ostia dove spadroneggiano le famiglie criminali del litorale, non sarebbero di fatto sottratti al controllo dello Stato se l’indifferenza dello Stato non l’avesse consentito. Salvo poi intervenire solo in seguito a fatti di cronaca così efferati da non poter essere ignorati e alle rivelazioni di cronisti coraggiosi. Siccome però anche il Comune fa parte dello Stato, non si può neppure sorvolare sul concorso di colpa dell’amministrazione locale. Ai circa seimila vigili urbani non si può certo chiedere di fare la guerra ai clan, ma presidiare il territorio facendo sentire la presenza delle istituzioni è anche compito loro. Governare non è facile, tanto più una città complicata come Roma. Sappiamo che nessuno, nemmeno Virginia Raggi, ha la bacchetta magica. Ma una cosa almeno dalla sindaca capace di promuoversi con un bel sette e mezzo la dobbiamo pretendere: che non si neghi sempre e ostinatamente l’evidenza. Basterebbe, per cominciare.