la Repubblica, 9 maggio 2018
L’amaca
Ogni discorso “di generazione” ha qualcosa di casuale e di arbitrario. Ma la cronaca della presente catastrofe offre, in termini anagrafici, indicazioni abbastanza precise: narra di un vecchio signore (Mattarella) che cerca invano di fare ragionare tre giovani capi (i trenta-quarantenni Di Maio, Salvini e Renzi). Non ditemi che quei tre partiti sono cose diverse e hanno avuto, nella crisi, responsabilità diverse: lo so da me. Rimane il fatto che tutti e tre i giovani capi, nel corso di questi due mesi, hanno, ciascuno nel suo, ostacolato la formazione di un governo, avviando la legislatura a una sorta di putrefazione in culla, spettacolo tremendo, trionfo delle mire di parte e dei calcoli personali che levano il respiro all’interesse comune e ai tempi pubblici, per i quali votare in estate sarebbe una folle sincope.
Il motivo fondamentale per il quale votai Renzi alle penultime primarie fu che mi pareva giusto e vitale favorire il ricambio anagrafico. Da perfetto baby-boomer (sono del ’54) ho pensato, con Gaber, che “la mia generazione ha perso”: troppo fortunata, troppo narcisa, era ora di passare il testimone. Ora, però, è la “loro” generazione che perde: non so se altrettanto fortunata, certo perfino più narcisa, indisposta a inchinarsi ad altro che al proprio arbitrio. Avessi la bacchetta magica affiderei l’incarico a un ventenne, meglio ancora a una ventenne, visto che la scena è ingombra di maschi prepotenti che si mostrano le zanne l’uno con l’altro.