Corriere della Sera, 9 maggio 2018
I ricambi per l’Atac arrivano dalla Cina
roma I due autobus prendono fuoco a Roma nel giorno in cui in assemblea capitolina si discutono le linee guida del Pums (Piano urbano della mobilità sostenibile). La notizia rimbalza sulle chat interne dei consiglieri M5S, che gridano al sabotaggio. Qualcuno azzarda l’ipotesi che, dietro l’ennesimo «flambus» (la saga dei mezzi carbonizzati ha ormai un suo profilo Twitter) ci sia una «strategia della tensione». Tanto più in un momento assai delicato per l’azienda di trasporto pubblico della Capitale che, strozzata da 1,4 miliardi di debito, ha imboccato la strada del concordato in tribunale.
I numeri Sale a 10, con i due di ieri, il bilancio dei bus distrutti dalle fiamme dall’inizio dell’anno. Nel 2017 si è raggiunta la media di due al mese (27 i casi che hanno richiesto l’intervento dei Vigili del fuoco), in crescita rispetto ai 20 del 2016. Ma i roghi parziali sarebbero molti di più: alcune centinaia, con un’incidenza di poco inferiore al 4% sul parco vetture (1.300 mezzi di superficie in circolazione sulle strade di Roma, se non fosse che nella giornata il 30% rientra in deposito per guasto). Cifre che danno la misura di quanto gli episodi meno eclatanti rappresentino il 15% del totale. Ovvero: per ogni incendio registrato dai media, ce ne solo altri otto invisibili.
Le cause Il bollettino dei mezzi «flambé» in continuo aggiornamento si deve a una concomitanza di fattori. Primo: la vetustà dei mezzi, con un’età media che sfiora i 13 anni contro gli otto della media europea. Secondo: la manutenzione carente, che si limita a tamponare qua e là mentre servirebbero interventi radicali. «Servirebbero lavori strutturali di revamping su motori, sospensioni, collegamenti elettrici, giunti – spiega Daniele Fuligni, segretario regionale Filt Cgil –. Senza contare che la viabilità romana, tra voragini e traffico, accelera l’usura».
Lo scorso gennaio il Cda della municipalizzata ha approvato l’acquisto in autofinanziamento di 700 nuovi autobus ma, tra avvio delle procedure di gara e aggiudicazione degli appalti, gli effetti non si vedranno prima di un anno, a essere ottimisti. «Un combinato disposto che – ribadisce Fuligni – mostra come l’aumento di produttività, da solo, non basti. Si critica il personale, ma anche stavolta se non ci sono stati danni è grazie alla tempestività e professionalità degli autisti». Tornando ai guasti, se nel 2015-2016 oltre il 70% ha interessato il motore, l’anno scorso più del 40% è dipeso dall’impianto frenante. Deficit manutentivo, ritardi nel rinnovamento della flotta e pezzi di ricambio non originali made in China: sono queste le cause principali dell’inefficienza del trasporto su gomma, con l’iperbole dei bus in fiamme.
Il concordato Quando si è trovata ad affrontare il nodo Atac, per evitare il crac l’amministrazione ha optato per il concordato preventivo in continuità. Irremovibile dal mantra dell’azienda «che deve rimanere pubblica», la giunta pentastellata ha scelto di avviare la procedura sotto l’egida del tribunale, presentando un piano di risanamento che, se da un lato diluisce nel tempo il ristoro delle somme dovute ai creditori, dall’altro punta sul rilancio del servizio (l’affidamento in house è stato prorogato al 2021). Gli strumenti indicati vanno dal potenziamento della flotta alla digitalizzazione; dall’accordo sindacale per portare a 39 le ore di lavoro settimanali al contrasto dell’evasione. Se non fosse che i giudici hanno ritenuto la proposta «inidonea». Per la prossima udienza, il 30 maggio, si sta lavorando a un faldone da migliaia di pagine per fornire le integrazioni richieste.