Gazzetta dello Sport, 9 maggio 2018
Le prepotenze dei Casamonica
Ci si chiede come mai i Casamonica, i Di Silvio, i Di Guglielmo, i Di Rocco, gli Spada, gli Spinelli, cioè tutto quell’incrocio di famiglie sinti che a Roma spadroneggia in certi quartieri della periferia, Ostia e la Romanina, ma con evidente tendenza a espandersi, nell’indifferenza delle autorità, anche ai Castelli e a Ciampino, alla Borghesiana e a Bracciano, ci si chiede come mai costoro girino ancora liberi, possano tenere sotto scacco interi pezzi di città, estorcendo, picchiando, minacciando e incassando quantità inverosimili di denaro, persino col sistema di mettersi agvli incroci di certi sensi unici - passaggi obbligati - e di esotorcere agli aumobilisti che passano dieci euro o un pacchetto di sigarette. I video della nostra brava collega Federica Angeli, da loro più volte minacciata, mostrano quali patrimoni abbiamo messo insieme costoro col malaffare.
• Ci stiamo occupando di questo per via di quella scazzottata nel bar?
Non è stata una scazzottata, ma un pestaggio scientifico a freddo, messo in atto in due tempi e con una terza visita 48 ore dopo di un capofamiglia che è andato a ribadire al barista «qui comandiamo noi e non ti azzardare a denunciare...». Pestaggio con finalità politiche di controllo del teritorio. È successo tutto il giorno di Pasqua, 1° aprile scorso, domenica, quaranta giorni fa. Il Roxy Bar di via Barzilai alla Romanina è aperto, nonostante la festa, perché lo gestisce un bravo romeno che si chiama Marian Roman, un bravissimo ragazzo che tutti conoscono e a cui tutti vogliono bene, un immigrato regolare che ha bisogno di lavorare e a Pasqua non fa vacanza. C’è la fila alla cassa, e tutto sembra tranquillo. Ma a un certo punto entrano due tizi, sappiamo adesso che si chiamano Antonio Casamonica e Alfredo Di Silvio. I due pretendono di non fare la fila ed essere serviti immediatamente. Una donna di 42 anni, che sta aspettando il suo turno, gli risponde che se non gli piace quel bar possono scegliersene un altro, uno dei due, per tutta risposta, la prende per il collo e la sbatte, l’altro si sfila la cintura e mena cinghiate, il barista esce dal bancone per soccorrere la poveretta, quella intanto è finita a terra per i calci e per i pugni, le hanno strappato il telefonino, quando lei grida che glielo restituiscano glielo tirano addosso, «e nun t’azzardà a fa’ la denuncia perché t’ammazzamo», «’sto rumeno demmerda», «’sta stronza che nun s’è fatta i cazzi suoi». La donna è una disabile di animo forte e andrà a denunciare. Ma intanto Marian Roman la implora di scappar via, perché quelli torneranno. E infatti una mezz’ora dopo si presentano altri due, sono fratelli e si chiamano Vincenzo ed Enrico Di Silvio. Non perdono tempo e spaccano tutto, riducendo il Roxy Bar a uno sfacelo, e gridando, intanto che fracassano i vetri e spaccano i tavoli, «qui comannamo noi, questa è zona nostra, ’sto bar lo devi da chiude». Due giorni dopo viene a trovare il rumeno il nonno di famiglia, Sta in sedia a rotelle e non può spaccare niente. Ma, dopo essersi fatto servire un caffè, dice: «Non denunciare sinnò t’ammazzamo». Invece il romeno, come la donna di 42 anni, che forse si chiama Simona, ha denunciato.
• Quindi sono stati arrestati.
Solo ieri. Arrestati tutti e quattro. Lesioni, minacce e danneggiamento con l’aggravante del metodo mafioso. Però li hanno messi dentro solo dopo che la storia è finita sui giornali. Il gip è la famosa Clementina Forleo, la quale sostiene che il caso non è stato sottovalutato né minimizzato. «L’ordinanza cautelare, con la contestazione dell’aggravante del metodo mafioso a ben quattro indagati, per la prima volta a Roma, è stata eseguita in tempi non veloci ma fulminei». • Sarà. Da Pasqua a oggi...
I Casamonica-Di Silvio hanno anche avuto il tempo di aggredire una troupe del Tg2. La Forleo nell’ordinanza scrive: «Appare evidente che i Casamonica e i Di Silvio siano assurti a “padroni” del territorio ove insiste il bar in questione e che l’aggressione della donna, prima, e la spedizione punitiva nei confronti del barista, con annessa devastazione del locale, dopo, abbiano costituito una rivendicazione di tale diritti. La complessiva condotta tenuta in tale circostanza costituisce una ostentazione del potere su un territorio che gli indagati considerano sottoposto al loro dominio: in altri termini, si é trattato di un modo per riaffermare il proprio potere anche per disincentivare eventuali future reazioni rendendo evidente a tutti quale trattamento sarebbe stato riservato ai soggetti che non assecondavano i loro voleri».
• Bene. I magistrati hanno capito. Ma non si sapeva da un pezzo che era così?
Finora l’avrebbero scampata perché in un certo processo d’appello del 2016 non è stata riconosciuta loro la fattispecie mafiosa. Come ha scritto Marco Lillo sul Fatto: «Ai criminali comuni si applica il principio di adeguatezza, secondo il quale il carcere è solo l’extrema ratio. Mentre per i mafiosi la custodia cautelare è obbligatoria. L’altra grande conseguenza è la possibilità di applicare le misure di prevenzione personali e patrimoniali. A un criminale mafioso (anche se non è stato condannato nel merito) si può limitare la libertà personale in presenza di indizi di mafiosità e pericolosità sociale e i giudici possono anche sequestrargli il patrimonio».
• L’episodio della Romanina non dimostra che sono mafiosi?
Forse stavolta hanno sbagliato.