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 2018  maggio 08 Martedì calendario

L’amaca

Di Olmi si dica ogni bene possibile. Ma si dica anche che se ne va, se non da sconfitto, da inascoltato, come chiunque, oggi, veda nella terra e nella natura la via della salvezza.
Nei Centochiodi, il suo testamento, l’uomo abbandona il Libro (anzi lo crocifigge, con furore antidogmatico) per fuggire verso l’argine, il fiume, la luce muta e benedicente dell’aria aperta. Non è il Verbo, è il silenzio che salva. Nell’Albero degli zoccoli la maledetta miseria è sempre attribuita alla prepotenza umana, mai alla terra che regge i destini e amministra i giorni. La terra era per Olmi l’evidente manifestazione del sacro, ciò che unifica e ordina. Fece anche un film-seme, Terra Madre, che solo a vederlo germoglia.
Nel mondo urbanizzato non solamente per densità di abitanti, anche nella mentalità e nei sensi, la terra è rimossa e negletta. I media ne parlano a stento, quando la siccità fulmina i campi e asseta le metropoli o quando contadini in rivolta rovesciano il latte davanti ai palazzi, o bloccano con i trattori le vie dove passano i telegiornali. In campagna elettorale non una parola profonda è stata spesa su ambiente e agricoltura. Non esiste stagionalità – la catena dei supermercati ha rotto la catena del tempo – e non esiste visione olistica delle attività umane, ognuno fissa lo sguardo solo sulla parte che gli compete. Olmi si batté, da artista, per ridare vastità allo sguardo. Nel mio piccolo Gotha personale ora sta al fianco di Rigoni Stern, Tiziano Terzani, Thoreau, Jack London e Walter Bonatti.