La Stampa, 8 maggio 2018
Tornano in libertà 28 mafiosi per gli errori dei magistrati
Chi copia chi. Oppure chi di copia e incolla ferisce, allo stesso modo perisce: il severissimo tribunale del riesame di Palermo, che – proprio a causa della presunta, pedissequa ricopiatura delle richieste dell’accusa da parte del giudice per le indagini preliminari – aveva scarcerato 28 degli arrestati di un’operazione contro la mafia dell’Agrigentino, scivola su un’identica buccia di banana. Perché la Procura ha trovato, nelle ordinanze del tribunale che avevano censurato il copia e incolla altrui, i copia e incolla degli stessi giudici censori.
Mentre i 28 presunti mafiosi sono a spasso nei paesi di provenienza, tutti ad altissima densità mafiosa, e vanno in giro accanto alle vittime delle estorsioni che li avevano denunciati, mentre è in corso un’ispezione ministeriale (sulla vicenda aveva tuonato anche Matteo Salvini), i magistrati del pool coordinato dal procuratore aggiunto Paolo Guido ricorrono in Cassazione: e lo fanno evidenziando ricopiature da parte del tribunale che sono o sarebbero palesi, per le posizioni di quattro indagati.
Un’ordinanza di annullamento degli arresti – per fare un esempio – riguardava un tale Vincenzo Cipolla, che secondo il tribunale è accusato di associazione mafiosa ed estorsioni; in realtà Cipolla risponde solo di mafia. Qualcosa non quadra, dunque: e la soluzione è a pagina 15 del provvedimento che ne ha ordinato la scarcerazione. Proprio nella parte in cui il tribunale critica il Gip per avere copiato, Vincenzo Cipolla diventa improvvisamente Angelo Di Giovanni, lui sì, indagato per mafia ed estorsioni. Due pagine più avanti, sempre dell’ordinanza riguardante in teoria Cipolla, c’è un’altra stilettata al giudice che aveva ordinato gli arresti, ma col nome dell’indagato ancora una volta sbagliato: «Come è evidente – scrivevano i giudici del riesame – nulla viene detto e nessuna argomentazione viene spesa per giustificare l’affermata colpevolezza del Di Giovanni in relazione all’addebito di associazione di tipo mafioso e agli ulteriori addebiti di estorsione e tentata estorsione».
Un pasticcio nel pasticcio, dunque. Perché è vero che sono nulli gli arresti decisi in violazione dei principi del garantismo che impongono la «terzietà» di chi emette le misure cautelari e il suo «appiattimento» sulle posizioni dell’accusa. «Ma la decisione del tribunale – scrivono i pm Gery Ferrara, Claudio Camilleri e Alessia Sinatra – appare essa stessa priva di motivazione, se solo si considera che l’organo giudicante non ha fatto altro che ripetere, in tutte le ordinanze, sempre la stessa formula…Paradossalmente quella stessa tecnica motivazionale che il tribunale imputa al Gip come viziata, lo stesso organo la segue pedissequamente, tant’è che le ordinanze, chiunque sia il relatore o il collegio, sono redatte sostanzialmente in fotocopia; evidente effetto di quella stessa tecnica del cosiddetto copia-incolla».
Mentre i magistrati dibattono e si attorcigliano nelle loro contrapposizioni, molti degli indagati del blitz denominato «Montagna» sono tornati a Favara, paese a una manciata di chilometri da Agrigento, in cui in estate fu trovato un arsenale attrezzatissimo. Favara è stata teatro di sette omicidi negli ultimi mesi, con propaggini in Belgio, dove ci sono stati altri delitti, commessi sempre ai danni di altri presunti appartenenti alla cosca.