la Repubblica, 8 maggio 2018
Il Salone del libro di Torino è in vendita
A due giorni dall’inizio della kermesse il presidente della Regione Chiamparino conferma la svolta verso i privati. “Chi potrà partecipare? L’Aie, la Buchmesse, la Bookfair di Bologna... Ma la regia culturale resterà pubblica” Prima il Salone dell’Orgoglio, ora è l’anno dei Miracoli. Il primo prodigio è quello annunciato da Nicola Lagioia, felice e stremato come può esserlo un capitano che porta l’equipaggio in salvo dopo un viaggio tempestoso. Nonostante tutto, nonostante la Fondazione in liquidazione, i ritardi organizzativi, i creditori in agguato, nonostante i contratti congelati e i collaboratori senza stipendio, tra due giorni la città del libro rinasce sotto una buona stella. La notte sembra terminata. Ma l’altro grande miracolo bisogna cercarlo nella stanza del presidente Sergio Chiamparino, il quale a poche ore dal taglio del nastro ci illustra a sorpresa un cambio radicale: il Salone muterà pelle, tornando in parte alle sue origini ma mantenendo un profilo bifronte tra pubblico e privato, Stato e mercato. È stata una lotta contro il tempo, ma sarebbe stato suicida inaugurare la XXXI edizione della fiera senza neppure immaginare un’impalcatura organizzativa che ne garantisse il futuro. Così negli ultimi giorni è cresciuto il lavorio di tessitura tra Chiamparino, la sindaca Chiara Appendino e il nuovo commissario della Fondazione del libro in liquidazione, anche per dare risposte certe ai creditori e ai dipendenti rimasti sospesi. Ma il vero centro politico degli incontri è la nuova creatura che dovrà sovrintendere al Salone. «Noi ci stiamo muovendo lungo un doppio binario, che mette insieme pubblico e privato», ci illustra il presidente Chiamparino. «La regia culturale del Salone resterà pubblica, mentre la parte organizzativa e commerciale sarà affidata a soggetti privati. Ora si tratta di capire in quale forma lo Stato potrà continuare a occuparsene: se attraverso uno degli istituti che quest’anno ha fatto salti mortali per la sopravvivenza del Salone – il Circolo dei lettori (Regione) e la Fondazione per la cultura (Comune) – o attraverso entrambi questi soggetti fusi insieme o attraverso un altro ente pubblico. Una volta trovata la soluzione, sarà questo nuovo soggetto a bandire una gara d’appalto aperta a tutti i grandi organizzatori culturali ed editoriali, in Italia e nella scena europea». Ha già in mente quali? «Penso all’Aie, l’associazione degli editori. E penso anche alla nuova nata Adei. Penso a soggetti internazionali, come la società che gestisce la Buchmesse a Francoforte. O anche alla società che organizza con grande abilità la Bookfair di Bologna. Naturalmente la gara è aperta a tutti. E il bando detterà alcune condizioni, come la collocazione obbligata a Torino e la scelta del direttore editoriale che deve essere condivisa con la cabina di regia pubblica». L’annuncio definitivo, conclude Chiamparino, arriverà solo al termine del Salone. Per non disturbare i manovratori. Ecco che cominciano a comporsi i vari tasselli del puzzle. E si capisce perché, alla vigilia della terza più importante fiera del libro europea, gli editori indipendenti “amici del Salone” abbiano voluto certificare il divorzio dall’Aie con la fondazione di Adei: come per attrezzarsi a competere in vista del nuovo assetto. Ma il Salone di Torino costituisce davvero un business? La sua travagliata storia passata – sul piano economico – non autorizza ottimismo. Ma forse una gestione più oculata – suggerisce chi lavora al nuovo progetto – potrebbe portare profitti. E l’Aie che ne pensa: è interessata? «Mi sembra tutto prematuro», dice Ricardo Franco Levi, che rimanda ogni decisione alla fine del salone. L’associazione degli editori guida già “Tempo di libri” e la fiera della piccola editoria romana: con il controllo del Salone diventerebbe la signora assoluta delle fiere, libera di comporre i vari segmenti in un’unica cornice. Per un divorzio appena ricomposto, sono già consumate nuove separazioni. E il prossimo Salone sarà anche la piazza in cui prenderà forma la nuova Adei, l’associazione degli indipendenti guidata da Sandra Ozzola Ferri, nata ieri. «Una ferita che mi addolora», commenta Levi. «Farò di tutto per riportare questi editori alla casa madre». Il “Salone dei miracoli” è anche quello dei record – degli stand editoriali (oltre mille marchi), delle prenotazioni scolastiche (26 mila studenti), della superficie commerciale, degli sponsor. «Il suo stato di salute è inversamente proporzionale al nostro», scherza Lagioia evocando il ritratto di Dorian Gray. «Finora non ci siamo mai lamentati, per non allungare ombre. E per non scoraggiare gli editori che ci hanno dato fiducia. Però ora ci aspettiamo dagli amministratori certezze, non più promesse». Anche per questo Chiamparino e Appendino si stanno affrettando a trovare una soluzione. Per evitare che la nuova cifra del Salone sia proprio una contesa interna, non più il duello tra Milano e Torino, tra il rampante “Tempo di Libri” e il vecchio caro Lingotto, tra la fiera dei Moloch editoriali e la città culturale degli indie, ma un contrasto tra una squadra intellettuale che nonostante tutto è riuscita a realizzare un programma culturale di prim’ordine e il suo referente pubblico che ancora annaspa sulle uscite di sicurezza. Ed è in queste ore che Chiamparino invita gli artefici del Salone a una ennesima prova di resistenza. «È come attraversare il Grand Canyon sul filo della corda. Siamo tutti invitati a prove di equilibrismo», dice. L’immagine non è tra le più rassicuranti, ma in gioco è il principale evento culturale italiano. Speriamo di non vederlo volare via.