la Repubblica, 8 maggio 2018
Il regno dei Casamonica
Di che cosa stiamo parlando C’è un’inchiesta della Procura di Roma sul raid avvenuto la domenica di Pasqua in un bar di via Salvatore Barzilai, nel quartiere Romanina, raccontato ieri da Repubblica. Due esponenti del clan dei Casamonica, pretendendo di essere serviti per primi, hanno aggredito e picchiato una ragazza con disabilità, il barista romeno e poi hanno distrutto il locale. Il procedimento, che ipotizza i reati di lesioni, minacce e danneggiamento, chiama in causa Antonio Casamonica e suo cugino Alfredo Di Silvio. A dare il via agli accertamenti del commissariato Romanina è stata la denuncia presentata dalla ragazza aggredita. Ieri, dopo la pubblicazione della notizia, la sindaca di Roma Virginia Raggi è andata in visita al bar della Romanina per esprimere solidarietà ai titolari: “Spero e credo che ci sia giustizia” le ha detto la moglie del titolare ROMA «Comunque a parte questa cosa del Roxy Bar, qui si vive bene, puoi lasciare la porta di casa aperta la notte e stai sicuro che nessuno ti viene a rubare finché ci sono i Casamonica». Già. Alla Romanina, quadrante est della capitale, nel feudo di una delle famiglie criminali più potenti della città, a parte massacrare di botte chi non ti serve il caffè prima degli altri clienti, o prendere a cinghiate chi te lo fa notare, o fermarsi a check point per pagare una sorta di pedaggio quando si passa sulle strade che ormai ritengono “cosa loro”, furti, borseggi e rapine non ce ne sono. In questo pezzo di Roma a 24 chilometri dal Campidoglio il compromesso per vivere senza guai è omertà e rispetto di qualche “piccola” angheria. Il resto sono ville mirabolanti lunghe quanto una via in barba a permessi, muri di case sui marciapiedi pubblici, fermate del bus spostate per entrare meglio nel garage di casa. L’arroganza urbanistica è un tratto distintivo tra le arterie del quartier generale dei Casamonica, dove sì, non succede nulla, perché le attività di spaccio, usura e le estorsioni le fanno un po’ più in là, tra Ciampino e Morena, fino ai Castelli Romani. E dove nessun criminale comune si azzarda a mettere piede, per quella non detta spartizione geografica di Roma dove la mafia esiste solo da qualche anno. Alla Romanina deve esserci pace, tranquillità, ottenuta a suon di minacce e che ormai è consolidata tra gli abitanti del quartiere dove regna la paura. Come quella che ora ha Marian, il barista picchiato nel giorno di Pasqua che ha comunque deciso di denunciare. «Adesso temo si possano vendicare, ho paura per i miei bambini. Quel giorno non volevano aspettare la fila e hanno detto: “Qui noi siamo i padroni, è tutto nostro”. Per aver difeso quella donna sono tornati dopo mezz’ora e mi hanno distrutto il bar e colpito alla testa con una bottiglia tante volte. E appena hanno saputo della denuncia sono venuti a dirmi di ritirarla altrimenti mi avrebbero ammazzato». Il venticinquenne Alfredo Di Silvio, che lo ha mandato in ospedale abita lungo la stessa via, a trenta passi dal bar. In via Baccarini, invece, vive Consiglio, il rampollo della famiglia sinti, che ereditò il ruolo di boss alla morte di Vittorio, l’uomo che fece parlare di sé per l’ultima volta nel giorno delle sue esequie con un funerale show, con petali lanciati da un elicottero su piazza Don Bosco, musica del Padrino a tutto volume, carrozze e un gigantesco cartellone con la sua immagine sovrastata dalla scritta “Il re di Roma” appiccicata sulla facciata della chiesa. Consiglio Casamonica ufficialmente fa il venditore di auto, l’ultimo guaio con la giustizia lo racconta l’inchiesta di quando offrì la sua amante al pm Roberto Staffa per ottenere la libertà: favori sessuali al magistrato in cambio della sua scarcerazione. Che ottenne. Secondo la Direzione Investigativa Antimafia il clan Casamonica è la struttura criminale più potente e radicata del Lazio, con un patrimonio stimato di 90 milioni di euro e conti nel Principato di Monaco, accumulato con quelli che, da sempre, sono i loro business: usura, con interessi dal 200 al 300 per cento, traffico di stupefacenti oltre che in Italia, in Germania, Spagna e Paesi Bassi, estorsioni, truffe delle automobili. Sono cresciuti dai tempi in cui, appena sbarcati a Roma dalle loro terre d’origine – l’Abruzzo e il Molise – erano manovalanza per i boss della banda della Magliana e per loro conto andavano a riscuotere i crediti. Ora siedono su un impero milionario e la loro storia di angherie e prepotenze ha permesso al clan di diventare una multinazionale del crimine con oltre mille gli affiliati. Potenti al punto da poter fare affari con le ‘ndrine dei Piromalli-Mulè, come scoprì un’indagine del 2010 che portò, fra gli altri, Rocco Casamonica, in carcere per riciclaggio dei proventi della ‘ndrangheta e costituzione di 15 società fittizie per partecipare ad appalti pubblici. La prima, e unica volta, in cui alla famiglia venne contestato il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso fu nel 2012: quaranta esponenti del clan finirono dietro le sbarre in un colpo solo con una condanna in primo grado che confermò tutte le accuse. Poi scattarono le confische di parte del loro patrimonio: ville nelle quali i camini non smettevano mai di fumare, estate e inverno, per consentire di bruciare la droga in caso di sorprese di polizia e carabinieri, sono già state messe a bando per essere riutilizzate a fini sociali. Conquiste importanti, salvo poi girare per le strade della Romanina, a sei anni da quello che avrebbe dovuto essere il declino del clan e ascoltare lo sconforto del quartiere. «Oggi siete venuti in tanti per la storia del bar, forse verrete qui anche domani e dopodomani. Da lunedì prossimo siamo di nuovo soli, qui non cambierà mai niente, vinceranno sempre e soltanto loro. Meglio farsi gli affari propri». Come gli undici clienti del Roxy Bar che hanno continuato a giocare alle slot mentre alle loro spalle massacravano un barista e una cliente coraggiosa.