la Repubblica, 8 maggio 2018
Di Maio dice che saranno tutti ricandidati
Prova a convincerli, a blandirli, a caricarli. La prima mossa di Luigi Di Maio, nel giorno in cui – lo ha detto lui stesso – comincia la nuova campagna elettorale del Movimento 5 stelle ( puntando al voto moderato) è riunire le truppe parlamentari per mettere tutti tranquilli: «Le liste saranno quasi sicuramente le stesse», assicura il capo politico agli oltre trecento eletti. Per garantirsi fedeltà, e soprattutto nessuna sorpresa davanti a un governo del presidente che chiederà la fiducia alle Camere. Le uniche modifiche previste, almeno nelle intenzioni di colui che resterà il candidato premier ( con elezioni così ravvicinate la possibilità di cambiare tutto di fatto non c’è) è quella di metter fuori dagli elenchi le persone andate al voto pur essendo sospese, i furbetti delle restituzioni come Andrea Cecconi, Carlo Martelli, Silvia Benedetti, Maurizio Buccarella; i massoni “in sonno” Catello Vitiello e Antonio Tasso; il presidente del Potenza Calcio Salvatore Caiata, che nelle ultime settimane si aggira per i corridoi di Montecitorio insieme a gruppetti di aspiranti responsabili. «Deciderà il garante», così dice il capogruppo al Senato Danilo Toninelli e così prescrive lo statuto. Spetta a Beppe Grillo, che da ieri è a New York e tornerà nel fine settimana per gli spettacoli di Isernia e Civitavecchia, l’interpretazione autentica della regola aurea del “doppio mandato”. «Questa legislatura non è partita», continua a dire Di Maio a tutti i suoi interlocutori per giustificare il superamento di quel limite. E in serata, fa filtrare: «Anche Grillo è d’accordo». Anche per questo, votare a luglio è fondamentale. Perché non ci siano intoppi e tutto possa essere risolto con un breve post sul blog. Perché non ci siano il tempo né la voglia, da parte di nessuno, di far nascere un’altra candidatura alla premiership. Alessandro Di Battista non ha detto ufficialmente che partirà comunque per il suo viaggio reportage in America, ma i vertici danno per scontato che sarà così. Nel frattempo, tra fan digitali che gli chiedono di tornare, lui irrompe su Facebook con un post che – come la mossa di Di Maio e Salvini di decidere da soli la data del voto – è uno schiaffo al capo dello Stato. «Chi, dopo aver detto NO al Movimento 5 Stelle voterà la fiducia a un governo tecnico – scrive l’ex deputato M5S – è semplicemente un traditore della Patria. In un Paese che intende ancora mostrarsi minimamente democratico le opzioni sono due: o un governo portato avanti da chi ha vinto le elezioni o nuove votazioni il prima possibile. Bivaccare è ignobile!». Nella pancia dei gruppi parlamentari non tutti la pensano così. Non chi ha sperato fino all’ultimo in un accordo con la Lega, non i vincitori degli uninominali, che a differenza di chi era nelle liste proporzionali vedono l’elezione a rischio. Di Maio lo sa ed è per questo che ha riunito tutti. La comunicazione diffonde gli applausi, il senatore Andrea Cioffi che dice col suo inconfondibile accento salernitano: «Vinceremo noi, siamo dei leoni», il collega Vito Crimi che ricorda nostalgico: «La data dell’ 8 luglio è quella del No Cav day del 2008. Ci porterà fortuna». Ma c’è anche chi, come il giurista napoletano Ugo Grassi, chiede a Di Maio: «Scusa Luigi, ma se si rivota e ci ritroviamo in uno stallo uguale a questo, che si fa?». ll capo politico risponde fingendo una sicurezza che non può avere: «Non accadrà, se spiegheremo bene perché siamo arrivati a questo punto possiamo arrivare al 40 per cento». Lo stesso concetto ripetuto nella riunione con i fedelissimi che ha preceduto l’assemblea: adesso era giusto tornare sulle barricate, rianimare gli attivisti confusi da tecniche democristiane e passaggi da un forno all’altro. Ma la linea che il Movimento incarnerà in campagna elettorale è quella già inaugurata da Di Maio mesi fa: europeista, atlantica, a caccia dei voti moderati. «Pd e Forza Italia saranno prosciugate», predice il capo politico parlando con i collaboratori. «La battaglia sarà solo tra noi e Salvini. Svuotando i bacini elettorali di Renzi e Berlusconi possiamo arrivare al 40 per cento».