la Repubblica, 8 maggio 2018
Votare d’estate
ROMA Mai, mai ci si è spinti più in là. Nell’estate. Per la prima volta nella storia della Repubblica, in assenza dei Mondiali, quindi già con un vero lutto da elaborare, gli italiani potrebbero ritrovarsi, sudati, a rivotare. Mentre i parlamentari neoeletti, che sono stati in allegra vacanza dal giorno del loro insediamento, tranne nobili eccezioni, dovrebbero rinunciare alle vacanze, quelle vere, e ricominciare l’estenuante rito della ricerca del consenso e dei comizi. Alle tipografie il compito di ristampare i santini elettorali (da distribuire per lo più direttamente in spiaggia). E Pier Ferdinando Casini cosa farà, al caso? Gli toccherà sfidare nuovamente Errani e mangiare con la calura salsicce e polenta nelle case del popolo? Buttarla sull’ironia. Per uccidere imbarazzo e disagio, il senso collettivo di una sconfitta. Se non passa il governo neutrale, arriverà, con ogni probabilità, l’elezione balneare. Dicono, forse, tra il 22 e il 29 luglio. Il che significa tutti i politici, o aspiranti tali, a battere litorali e baite di montagna in luglio e poi, dopo il voto, in agosto, nei palazzi con l’aria condizionata, nuovi Camera e Senato, e giuramento del nuovo governo. Magari a Ferragosto, eresia per eresia. Noi eravamo abituati ai cosiddetti governi balneari della Prima Repubblica che servivano, nei momenti di crisi, per garantire «la transizione e la decantazione». Per esempio il governo Leone dell’estate 1963 (21 giugno-4 dicembre 1963) nato sullo stallo politico e voluto dal presidente di allora Antonio Segni. Ne nacque un monocolore Dc, con l’appoggio esterno di altri partiti, tra cui lo stesso, riottoso, Psi. Giovanni Goria fece un governo il 28 luglio dell’87, molto prima Amintore Fanfani si rovinò l’estate del 1960 (26 luglio). Ma erano appunto governi balneari, nati per morire, per far calmare le acque e tenere caldo lo scranno per i veri protagonisti. Qui si parla di elezioni nel cuore dell’estate. E non ci sono precedenti. Bisogna tornare al 1983 per trovare una chiamata alle urne simile. Ma i seggi vennero aperti il 26 e il 27 giugno. Gli italiani votarono con il proporzionale classico, la Dc ne uscì indebolita, il Psi rafforzato. Sandro Pertini diede l’incarico a Bettino Craxi il 21 luglio. Perlomeno parte di agosto fu “salva”. Prima di allora solo nel 1976 si era osato “disturbare” gli italiani in vacanza con una convocazione, il 20 giugno, solstizio d’estate. Questa volta non ci sono nemmeno i Mondiali a convogliare altrove tifo e passione. Cacciati dal calcio internazionale 2018, gli italiani si vedranno costretti a sostituire notti magiche come quella del 9 luglio 2006, quando l’Italia vinse a Berlino la coppa contro la Francia, con grigie maratone elettorali televisive e sudati comizi notturni. Per la cronaca, il 10 luglio 2006, la squadra vincente dei Mondiali venne accolta da Romano Prodi e ministri nel cortile di Palazzo Chigi mentre migliaia e migliaia di tifosi affollavano piazza Colonna e via del Corso. «È tornata la gioia di vincere con il gioco di squadra, perché i singoli contano ma da soli non bastano». No, i singoli non sono bastati, l’Italia può aspettare. Salvini e Di Maio ripropongono la sfida per l’8 luglio. Qualcuno ha fatto i calcoli sulla base di questa data peraltro improbabile. Il 27 luglio ci sarebbe la convocazione delle Camere e dal primo agosto l’inizio delle consultazioni per il nuovo governo. Già così settimane tormentate. Se poi le elezioni si tenessero a fine luglio, l’agenda politica coprirebbe tutto il mese di agosto. Il sindaco di Rimini, Andrea Gnasso, si mette le mani nei capelli. Che ne sarà della sua «notte rosa» prevista proprio per l’8 luglio? Sui social l’irresistibile tentazione di buttarla sul ridere per non piangere. «Tutto ciò non sarebbe accaduto – dice Pietro – se l’Italia si fosse qualificata ai Mondiali». Cabine elettorali allestite in spiaggia e voti meno convinti: «Scriverò Salvini sulla sabbia».