la Repubblica, 7 maggio 2018
In morte di Paolo Ferrari
Anna Bandettini sulla Repubblica
Fu uno dei protagonisti più popolari: dall’Archie Goodwin di “Nero Wolfe”, a “Orgoglio”, allo spot del detersivo e al doppiaggio È stato un dei protagonisti più popolari dello spettacolo italiano della seconda metà del Novecento, un volto della tv, del cinema, del teatro per tutti gli spettatori over 50. Eppure della bravura, della leggerezza di Paolo Ferrari, morto ieri nella sua casa vicino Roma a 89 anni, restano testimonianze indelebili, anche per i più giovani: la leggendaria “voce italiana” di Humphrey Bogart nei grandi cult del divo americano, l’ironico, disinvolto Archie Goodwin, accanto a una leggenda come Tino Buazzelli, nella serie Rai Nero Wolf – era il ’69 – che ancora si vede di tanto in tanto e perfino il protagonista scanzonato degli spot del Dash diventarono un tormentone dell’immaginario pubblico. Paolo Ferrari è stato un veterano della scena italiana, dalla carriera eterogenea: seria e brillante, popolare e colta. Nel ’60 presenta Sanremo con Enza Sampò, nel ’64 fa il signor Collalto del popolarissimo Giornalino di Gian Burrasca tv con la Pavone, ma a teatro è anche il tormentato uomo di Anima nera, il dramma di Patroni Griffi. Aveva cominciato a recitare a 9 anni alla radio, facendo il giovane balilla e poi nel film storico-avventuroso di Alessandro Blasetti, Ettore Fieramosca. «A 5 anni mi sporsi pericolosamente su un lago, mi salvò Gino Cervi. Essere stato tra le braccia di quel grande attore dev’essere stata una predestinazione». Sta di fatto che a 19 anni debutta dalla cima, con Giorgio Strehler in Il Corvo di Carlo Gozzi e al Piccolo rimane per qualche anno, prima di passare con il Teatro dei Gobbi insieme a Paolo Panelli, e poi con Marina Bonfigli (sua prima moglie) e Vittorio Gassman; ha recitato con Monica Vitti, Francesco Mulè e registi come Gianfranco De Bosio, Giorgio De Lullo. Negli anni Settanta e Ottanta si specializza nel repertorio brillante accanto a Valeria Valeri. E brillanti sono stati anche i film della sua carriera cinematografica, dove è stato diretto anche da Zeffirelli, Petri, Veronesi. Ma un successo indiscusso l’ha avuto come doppiatore: voce profonda, calda, pronuncia perfetta sono state il suo marchio a partire dai tempi della radio (grande, lo si ricorda nel varietà radiofonico Rosso e nero n° 2, con Nino Manfredi e Gianni Bonagura). Sua l’interpretazione “doppiata” di David Niven, Franco Citti, del mitico Jean-Louis Trintignant ne Il sorpasso di Dino Risi e, appunto Bogart in Il mistero del falco, Il grande sonno, Agguato ai tropici. In anni più recenti si era visto nelle soap Rai Incantesimo e Orgoglio e nella serie Disokkupati del 1997, fino a Ho sposato uno sbirro. Nel 2006 vince il Premio Gassman alla carriera. “Ferrari” era il cognome della madre, Giulietta, quotata pianista che introdusse in Italia la musica di César Franck, perché il vero padre lo aveva conosciuto tardi: era un console italiano in Belgio. «E questo è il motivo per cui fui scodellato a Bruxelles, il 26 febbraio del ’29», raccontava con una certa ironia sulla sua strana famiglia. Attore discreto, misurato, equilibrato negli ultimi anni aveva scelto di farsi dimenticare. Con la seconda moglie, l’attrice Laura Tavanti passava le giornate nella sua bella villa fuori Roma e le relazioni erano soprattutto private, a partire dai figli Fabio (anche lui attore), Daniele e Stefano. In una intervista di tre anni fa si era limitato a dire: «Gli anni passano via veloci. Recito da quando avevo cinque anni. Adesso basta».
Maurizio Porro sul Corriere della Sera
Nato per caso a Bruxelles nel 1929, figlio del console italiano in Belgio, Paolo Ferrari è morto ieri a Roma all’età di 89 anni dopo una lunga malattia. Debuttò in Rai a 9 anni, ed è stato uno dei più popolari talenti brillanti, capace di giocare su tre tavoli: il cinema, il teatro e la televisione. Fu un attore bambino col nome di Tao che poi gli resterà addosso già nel ’38 in Ettore Fieramosca e Fabiola di Blasetti.
Se sul grande schermo ebbe molte apparizioni nella commedia, lavorando con Totò e i maestri di allora, furono poche le occasioni di pregio: il primo film di Zeffirelli Camping e poi protagonista nelle Voci bianche di Festa Campanile e Franciosa. Attore di bella presenza, sposato con due attrici (prima Marina Bonfigli, poi Laura Tavanti e con tre figli di cui uno, Fabio, anch’egli in scena) sul piccolo schermo si fece notare in diverse occasioni. Presentò nel ‘59 il Giallo club, i casi della serie con Ubaldo Lay il tenente Sheridan dall’impermeabile cult; grazie al successo, l’anno dopo con la Sampò presentò Sanremo. Il colpo grosso avvenne dal ’69 al ’71 accanto a Tino Buazzelli nella serie di Nero Wolfe, nel ruolo di Archie Goodwin, segretario dell’investigatore, e poi nel mistery Accadde a Lisbona di D’Anza, fino al varietà con Gassmann Il mattatore. E poi le commedie, tante e piacevoli, da Incantesimo di Barrie a Come le foglie di Giacosa, gli sceneggiati come Papà Goriot o la Roma di Moravia, la pubblicità che gli provocò una vera ossessione quando agli inizi degli anni 70 fu testimonial del famoso fustino di detersivo Dash, anzi due al posto di uno, tormentone d’epoca. Ma la sua verve era in palcoscenico: fu accanto a primi attori come la Merlini, Cimara, Vivi Gioi e anche diretto da Strehler in piccoli ruoli nei primi anni del Piccolo Teatro, classico giovane attore promessa, passando poi al cabaret e alla rivista, formando spiritosi gruppi di giovani talenti.
Accadde sulla falsariga del Teatro dei Gobbi in Senza rete con Bonucci, Panelli, Bonfigli e la Vitti, poi in un quintetto (con Manfredi, Pisu, Bonagura, Pelitti) nel ‘53 al fianco delle sorelle Nava nella rivista Tre per tre Nava diretta da Marcello Marchesi e poi con Billi e Riva in Gli italiani sono fatti così al fianco dei fedelissimi Gianni Bonagura e Nino Manfredi. Il suo primo personale successo fu nella commedia allora scandalosa (perfino sequestrata) di Patroni Griffi Anima nera, mentre ebbe rilievo nella compagnia di Enriquez con la Moriconi in Rosencranz e Guildestern sono morti di Stoppard e nel Mercante di Venezia. Ed ancora in veste seria, capace di alternare i due registri, recita Ibsen, Rosmersholm con la Ghione, prima di dedicarsi al repertorio leggero, dove conquistava il pubblico col ping pong delle battute, coi tempi e i ritmi del dialogo, con una sua forma di humour british poco all’italiana, magari in coppia con la giovane Vanoni in L’idiota di Achard e La fidanzata del bersagliere di Anton. Una serie di successi e un’altra coppia affiatata con un’attrice spiritosa come Valeria Valeri, compagna ideale di battibecchi. Furono insieme per Fiore di cactus, Sinceramente bugiardi, Gin Game, Vuoti a rendere, mentre nel 2001 è un impareggiabile partner della Goggi nel musical Hello, Dolly!.
Era attore di bella presenza e per bene, di natura borghese, mai sopra le righe, al suo posto sia in una pochade sia con Strehler o con la raffinata Compagnia dei Giovani. Fu doppiatore, come tutti i divi della prosa: parlarono con la sua voce Gèrard Philipe, Tomas Milian, Charlton Heston, l’Humprey Bogart di alcune riedizioni, Citti di Accattone e il Trintignant del Sorpasso. Lavorò oltre la pensione: Orgoglio e Incantesimo sono tra i suoi ultimi successi tv, come le 40 puntate di Disokkupati.
Masolino D’Amico sulla Stampa
Paolo Ferrari era nato nel 1929 come Paolo Vitta, a Bruxelles, figlio di un console italiano che rientrò in patria poco dopo. Da piccolo lo chiamavano Tao, e come Tao Ferrari figura nei titoli di Ettore Fiermosca di Blasetti (1938) e di altri film dove comparve a partire da quando aveva nove anni. Tao lo chiamava la prima moglie Marina Bonfigli, altra attrice eccellente, e Tao lo chiamavamo anche noi frequentatori di Castiglioncello verso la fine dei magnifici anni Cinquanta, quando i giovani coniugi ci passarono parecchie estati, attirativi dai loro grandi amici Paolo Panelli e Bice Valori. Un ultimo legame con quel posto prima di staccarsene completamente Tao lo ebbe quando prestò la voce italiana a Jean Louis Trintignant nel mitico film Il sorpasso, che proprio a Castiglioncello si conclude.
Attore bambino, prima all’Eiar dove ebbe una parte di balilla, poi al cinema (quindi da subito indirizzato a puntare parecchio sulla voce), Paolo Ferrari fu attore e nient’altro che attore per tutto il resto della sua esistenza. Ma a differenza di tanti suoi colleghi con un pedigree non dissimile, non «recitò» mai, né sul palcoscenico né nella vita. Nel teatro, al cinema, sul piccolo schermo, aveva la stessa disinvoltura elegante senza sforzo. Era un «natural», come dicono gli americani, ossia un attore nato, non costruito; ma non tutti gli attori «natural» sono privi di esibizionismo. Paolo Ferrari lo era. Non aveva bisogno di cercare di piacere. Riusciva attraente e affidabile già di suo. Questo lo aiutò a diventare famoso e allo stesso tempo gli compromise la carriera quando per alcuni anni spopolò nella pubblicità di un detersivo.
La svolta televisiva
Fu, con Ernesto Calindri, il primo attore importante a legarsi a lungo ad un solo prodotto, e mentre questo lo rese enormemente popolare e riconoscibile in un’Italia che guardava la tv a bocca aperta, non gli facilitò l’attività nel teatro serio, al quale ovviamente non voleva rinunciare. Una volta, a Bari, in una commedia impegnata, lui era Scott Fitzgerald e Glauco Onorato Ernest Hemingway, indignato per gli sfottò della sala fece abbassare il sipario.
Andiamo per ordine. Nel cinema Paolo Ferrari non smise di lavorare anche quando non fu più bambino, e la lista delle sue apparizioni dal 1938 al 2011 è lunga; ma di rado ebbe ruoli di protagonista. Uno fu nel dimenticabile esordio di Franco Zeffirelli, Camping, con Nino Manfredi e Marisa Allasio, di cui fu anche coautore. Ben più incisivo è rimasto semmai Le voci bianche (1964) di Festa Campanile e Franciosa, acre rievocazione dei cantanti castrati.
La tv – preceduta da varietà radiofonici, come Rosso e Nero n. 2 con Manfredi – fu il suo vero campo di attività, con parecchie serie e miniserie a partire dal 1954, e parecchi successi, tra cui il non dimenticato Nero Wolfe (1969-’71) a fianco di Tino Buazzelli, fino al non meno fortunato Orgoglio (2004-2008), passando persino da una conduzione del Festival di Sanremo con Enza Sampò, e da quella della trasmissione Giallo club (1959-60). Mise anche a buon frutto la sua voce calda come doppiatore, anche di personaggi particolari, come il Franco Citti di Accattone e il Donald O’Connor di Cantando sotto la pioggia.
In scena con Valeria Valeri
Ma non si è davvero attori se non si recita a teatro, e qui dopo apparizioni da scritturato, per esempio con Ornella Vanoni per l’impresario nonché di lei marito Lucio Ardenzi (L’idiota di Achard), Paolo Ferrari toccò l’apice in età relativamente matura, ossia a partire dai primi anni Ottanta, grazie al sodalizio con colei che sarebbe rimasta la sua partner ideale: Valeria Valeri. Insieme i due misero in scena con grazia e leggerezza incomparabili, tra l’altro, Fiore di cactus di Barillet e Grédy, Vuoti a rendere di Maurizio Costanzo, Sinceramente bugiardi di Alan Ayckbourn, Gin Game di Donal Lee Coburn. Questo, diventato un loro cavallo di battaglia, lo ripresero addirittura nel 2012, vent’anni dopo la loro prima apparizione come i due indimenticabili vecchietti della commedia.
Cinzia Romani sul Giornale
«Le do due fustini in cambio del suo». E nei Settanta le donne di casa si fidavano della faccia per bene e del piacevole aspetto di Paolo Ferrari, grande del teatro e bravo attore di cinema e tv morto ieri, assistito dalla moglie Laura Tavanti e penalizzato, in vita, dalla pubblicità televisiva d’un detersivo per lavatrici. Tanto che quando Mauro Bolognini cercava l’interprete adatto a doppiare il suo film Fatti di gente per bene, scansò quel nome: il pubblico l’avrebbe identificato col Dash di Carosello. Per fare uno scherzo al regista, il nonno Riccardo di Notte prima degli esami (1982) sostenne il provino sotto falso nome, e, sentendone soltanto la voce, Bolognini lo scelse a colpo sicuro. «Quando mi presentai, Bolognini capì, mi guardò e disse: sono uno stronzo», sfotticchiava Paolo, nato a Bruxelles il 26 febbraio 1929, figlio del console italiano in Belgio. Talmente iconico, in quello spot che evoca un’epoca in cui chi faceva tv sporcava la sua carriera di attore, da tornare a essere testimonial del detersivo, nel 2008, in una sit-com. Il suo timbro fermo e suadente, con la dizione ben scandita, che la gran parte degli attori oggi ignora, l’avrebbe portato a doppiare il farfugliante Franco Citti in Accattone di Pier Paolo Pasolini, prestando la voce a un mito come Humphrey Bogart in Casablanca e Il grande sonno; allo charmeur per eccellenza David Niven (Scala al paradiso, 1948), al tenebroso Jean-Louis Trintignant ne Il sorpasso di Dino Risi. Quei toni persuasivi e fondi, li esercitò dagli anni Quaranta ai Settanta, lui che aveva iniziato a 9 anni, debuttando all’Eiar, con un programma radiofonico in cui impersonava il balilla Paolo. Ed è del 1938 il suo debutto sul grande schermo, nella pellicola Ettore Fieramosca di Alessandro Blasetti, uso a calzare stivali duceschi su set.Negli anni della Seconda Guerra mondiale, per lui ci saranno ruoli in Kean (1940) di Guido Brignone, Odessa in fiamme (1942) di Carmine Gallone, I pagliacci di Giuseppe Fatigati e Gian Burrasca di Sergio Tofano, entrambi del 1943. Nonostante la guerra, Paolo cresce a Roma come adolescente in pieno fermento artistico. Ha la testa piena di sogni sotto ai ricci biondi, quando, a 16 anni, lo segnerà una tragedia: l’assassinio del fratello maggiore Leopoldo, irriducibile fascista che non voleva togliersi la divisa. «Questa divisa l’ho presa, l’ho portata, ho la coscienza pulita, non la tolgo e accada quel che deve accadere», ripeteva con notevole sangue freddo. Una tempra che gli costò la vita: i partigiani lo annegarono nel lago di Como.«Era il ’45, eravamo sfollati. Una mattina Leopoldo mi salutò, dicendo che doveva andare in un posto. Lo vidi allontanarsi con un uomo, non tornò più. Lo giustiziarono i partigiani. Per me fu uno choc: dormii per cinque giorni consecutivi», raccontava Paolo, che dopo quel trauma tornò sulla scena, teatrale soprattutto. Le soddisfazioni non sono mancate a quest’artista duttile, che ha recitato diretto da Mario Mattoli in Totò cerca pace (1954); Franco Zeffirelli in Camping (1958), Nunzio Malasomma in Adorabili bugiarde (1958), confermandosi uno dei più dotati caratteristi italiani. Con l’arrivo del «boom», nei Sessanta, partecipò a Il Mattatore, programma tv animato da Vittorio Gassman, riuscendo a inchiodare il pubblico del piccolo schermo con trasmissioni come Giallo Club, per approdare, nei Settanta, agli sceneggiati e alle mini-serie di grande successo. E’ il caso di Nero Wolfe con Tino Buazzelli, dov’era Archie Goodwin, braccio destro dell’investigatore e di Accadde a Lisbona, insieme a Paolo Stoppa: vengono i brividi, pensando alla bravura sottesa a tali nomi.Ma bisognerà attendere il 1997 per il ritorno di Ferrari in tv, con la serie Disokkupati, dove l’attore incarnava un pensionato. Nel 2000 seguirono Orgoglio (era il marchese Obrifari) e Incantesimo 9 e 10. Lascia tre figli, tra i quali l’attore Fabio, il Chicco de I ragazzi della III C, e il rimpianto di un’Italia che sapeva di buono.