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 2018  maggio 07 Lunedì calendario

Philippe Evain, il sindacalista che ha messo a terra Air France

PARIGI Lo chiamano il Líder Máximo dei cieli. Philippe Evain è il temutissimo capo del sindacato dei piloti francesi. Arrivato nel 2014 alla guida del potente Snpl, Syndicat national des pilotes de ligne, è l’uomo forte del conflitto in corso a Air France che ha già provocato tredici giorni di sciopero in due mesi e adesso il “licenziamento” del Ceo Jean-Marc Janaillac, dopo il risultato della consultazione tra i dipendenti sull’accordo salariale. Janaillac ha preso atto dell’impasse in cui sono finite le trattative sindacali, due anni dopo che Alexandre de Juniac, Ceo tra il 2011 e il 2016, era stato costretto a gettare la spugna, parlando di una compagnia di bandiera «irriformabile». Cinquant’anni, pilota sui voli di medio raggio dal 1998, appassionato di auto d’epoca, Evain ha la fama di essere un duro nonostante lo sguardo azzurro, i modi garbati. «È una caricatura, sono ragionevole e l’ho dimostrato molte volte» risponde al telefono, parlando degli accordi sottoscritti con i vertici del gruppo per la nascita delle compagnie sorelle Transavia e Joon. Prima di rassegnare le dimissioni, Janaillac ha scritto un’ultima lettera al Snpl chiedendo di sospendere le due nuove giornate di sciopero, previste oggi e domani: il movimento sindacale è già costato oltre 300 milioni di euro alle casse del compagnia francese e la trimestrale pubblicata qualche giorno fa segna un rosso di 269 milioni di euro. Evain ha risposto un secco no, confermando l’appello per bloccare i voli. «Non siamo noi a doverci preoccupare – commenta – è il management e soprattutto il governo». Da quando è stato eletto alla testa del Spnl, Evain ha abbandonato una tradizione di cogestione con i vertici, scegliendo di condurre battaglie unitarie insieme agli altri sindacati dei dipendenti. La sua alleanza con la Cgt, la confederazione di sinistra, non convince molti piloti ma lui tira dritto. «Il successo della consultazione tra i dipendenti dimostra che ho avuto ragione. Siamo appena 3.700 piloti, il 6% del personale, ma la nostra linea è stata condivisa dalla maggioranza» ricorda Evain. Per il nuovo potere macronista la crisi dentro Air France è una pessima notizia. Ieri il ministro dell’Economia Bruno Le Maire ha criticato le «richieste eccessive» dei piloti, evocando un «rischio sopravvivenza» per la compagnia di bandiera. «Bene, lo Stato si è finalmente svegliato» ribatte sarcastico Evain. «Per tutti questi mesi – prosegue – il governo ci ha semplicemente ignorato». I dipendenti Air France chiedono un adeguamento salariale del 6% dopo che il gruppo franco-olandese ha registrato nel 2017 un risultato operativo record, pari a 1,4 miliardi di euro, mentre gli stipendi sono bloccati dal 2011. Il management aveva fatto una contro-proposta con un incremento del 2% per il 2018 e del 5% sui prossimi tre anni. «L’aumento che chiediamo è solo un modo di recuperare l’inflazione degli ultimi sette anni» spiega Evain secondo cui, nello stesso periodo, gli stipendi dei piloti di Lufthansa sono aumentati del 9,7%. La salute economica di Air France non è esattamente la stessa dei concorrenti europei. L’anno scorso, l’utile netto è rimasto negativo, pari a -274 milioni di euro, rispetto a +2,36 miliardi per Lufhansa o +1,63 miliardi di British Airways. L’indebitamento resta superiore agli 800 milioni di euro. Evain non contesta queste cifre, ma nega ci sia un problema con la massa salariale che, dice, è simile a quella degli olandesi di Klm. A pesare su Air France, continua il leader sindacale, sono i «carichi esterni». «Siamo tra i pochi gruppi a doverci sobbarcare interamente le spese per la sicurezza». Il leader dei piloti aggiunge che le tasse aeroportuali imposte da Aéroports de Paris, controllata dal governo, sono «tra le più alte in Europa». «Su sicurezza, aeroporti e altre tassi si potrebbe tagliare circa 1 miliardo di euro» sostiene Evain. Janaillac ha confidato ai giornalisti di temere per la compagnia di bandiera uno «scenario Alitalia». La consultazione che ha bocciato l’accordo salariale mandando il gruppo fuori rotta ricorda il caos provocato dal referendum nel gruppo italiano un anno fa. «Il paragone non ha senso» commenta stizzito Evain, riconoscendo però che, anche qui, la partita diventa adesso tutta politica. Lo Stato è il primo azionista, con il 14,3% del capitale. Il governo deve decidere in fretta, entro il 15 maggio, la successione di Janaillac. Tra i nomi che circolano ci sono anche quelli di alcune manager donne. Chiunque arriverà, dovrà imparare a trattare con Evain. E non sarà un passeggiata.