Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  maggio 07 Lunedì calendario

La carica delle donne in Tunisia

E alla fine, andando da Ovest a Est attraverso il deserto delle primavere arabe, trovate lei, Inés Boussetta, con i suoi trent’anni e la voglia di migliorare le cose.
In Siria guerra, in Egitto nuovo regime, in Libia caos. E in Tunisia, a combattere la crisi e l’astensionismo, un mazzo di donne come Inés, operatrice sanitaria e candidata nella cittadina di Tebourba per il partito Nidaa Tounes. A 35 chilometri c’è la capitale, dove il partito islamico Ennahda (altra gamba del governo nazionale) ha affidato a Souad Abderrahim, 54 anni, farmacista ed ex prigioniera politica, il compito di diventare la prima sindaca di Tunisi sfidando il boss di una squadra di calcio (nell’anno in cui le Aquile di Cartagine partecipano ai Mondiali di Russia).
Dalla sconosciuta Boussetta alla testa di serie Souad. Dai partiti di ispirazione religiosa ai laici, il colore rosa non cambia: 28 mila donne in lizza per le elezioni locali, le prime a sbocciare dopo la Rivoluzione dei Gelsomini del 2011. Appuntamento importante, in un momento delicato per l’unica primavera araba sopravvissuta alla risacca. Non c’è più l’effetto novità: dalla caduta di Ben Ali i tunisini erano già andati a votare quattro volte, mentre il vento da Tripoli a Damasco si trasformava in bufera.
Una scorpacciata di elezioni. Ma le amministrazioni municipali crollate con il regime non erano più state ricostruite. Oggi a loro è affidato il compito di rinfrescare i gelsomini. E dare qualche risposta ai bisogni di tutti i giorni. Contrastare la percezione che la democrazia non riempie la pancia. «Pane, libertà, dignità», erano le richieste nei giorni della rivolta. Dopo sette lunghi anni, la voce più inascoltata è pane. E companatico: lavoro (disoccupazione sopra il 15%, il 30% fra i giovani, il 20% degli occupati è statale), qualche soldo in più (il dinaro si è svalutato del 40% sull’euro rispetto al 2001), una chance per il futuro (oltre seimila tunisini sono sbarcati in Italia nel 2017). Pane e gelsomini, ma soprattutto pane. A che serve altrimenti la libertà?
Ieri si aspettava la risposta di 5 milioni e passa di elettori. È arrivato il loro silenzio. L’affluenza finale si è fermata al 33,7% (contro il 69% delle politiche 2014). Con i primi risultati che danno Ennahda avanti 3-5 punti su Nidaa Tounes. Un reporter della Reuters ha fotografato la situazione. In una piazza di Tunisi, anziani al seggio e giovani al caffè. Tra loro Ramzi: «Se vogliono il mio voto, prima mi diano un lavoro».
Una cartolina più positiva viene da Rosa Meneses, inviata dello spagnolo El Mundo, con un reportage sulle tunisine a cui sembra affidato «il potere del cambiamento». Ecco l’elettrice Nesrine Essid, 38 anni, laurea in Legge, sulla porta della scuola-seggio: «Sono venuta a votare per migliorare il mio Paese. Ho votato per una donna». E la candidata Asma Hanza, che ha guidato una lista indipendente: «Ho deciso di presentarmi perché la situazione è critica, e le donne conoscono i problemi».
Per la prima volta nella storia tunisina, la legge ha stabilito la parità di genere nelle liste. Su 57 mila candidature, metà era donna. Su oltre duemila liste, più di un quarto avevano una guida femminile. E almeno un centinaio sono state escluse per aver disatteso alla regola del 50-50. Dalla carta alle urne il passo non è breve: «Molta gente è ancora diffidente – ha raccontato Inés Boussetta al quotidiano francese Libération —. Dicono che a noi donne manchi l’esperienza. Ci mettano alla prova». La «femminilizzazione della politica è cominciata e darà frutti» assicura Torkia Chebbi della Lega delle elettrici tunisine, uno dei 20 mila gruppi della società civile.
Una nazione così, dove pure Simon Slama, uno dei 1.200 ebrei rimasti, ha guidato ieri nella sua Monastir la lista del Partito islamico Ennahda, è un Paese con un futuro. Un sistema che riserva un decimo delle candidature alle persone con disabilità merita attenzione. Con l’occhio al pantano libico e siriano, l’Europa farà bene a non dimenticare una nazione in faticoso cammino al di là del Mediterraneo. Nel 2016 la Ue ha alzato le quote per le importazioni di olio d’oliva tunisino. Lo stesso, consiglia l’Economist, dovrebbe fare per datteri, verdura, prodotti tessili. La democrazia va sostenuta. Gelsomini e pane. Ma ora, dopo sette lunghi anni, soprattutto pane.