Corriere della Sera, 6 maggio 2018
L’uomo che stava con l’Isis e adesso lo combatte
Da reclutatore tra i giovani musulmani in Europa e nel mondo, per trasformarli in islamici radicali, a profeta del dialogo contro gli estremismi e per la coesistenza tra le religioni. È un tragitto intimo e tortuoso quello compiuto da Maajid Nawaz: poteva molto facilmente diventare lui stesso uno dei simpatizzanti dell’Isis che compiono massacri nelle città europee e invece, dopo un «doloroso e radicale travaglio identitario molto personale», come lui stesso racconta, è diventato una sorta di intellettuale organico della pace in lotta contro i fanatismi. Al momento della «rinascita» nella sua nuova esistenza di moderato ha divorziato dalla moglie Rabia (che assolutamente non voleva togliersi il velo), rinunciato all’unico figlio avuto con lei, abbandonato i vecchi amici. «A trent’anni nel 2007 mi sono dovuto reinventare totalmente, come fossi diventato un uomo nuovo», ricorda. Solo la madre è stata sempre con lui, ben felice della sua svolta «liberale».
Un percorso sorprendente, se si pensa che ancora alla fine degli anni Novanta andava in giro armato di coltello per le strade di Londra a caccia di skinhead e altri militanti dei gruppi dell’estrema destra britannica. E che dal primo aprile 2002 al marzo 2006 è rimasto chiuso in una delle più terribili prigioni egiziane con l’accusa di appartenere ai gruppi dell’internazionale islamica legata ad Al Qaeda. E in carcere condivideva i pasti con gli ultimi sopravvissuti dei Fratelli musulmani più estremisti, militanti della cellula che nel 1981 aveva assassinato al Cairo il presidente filo-occidentale Anwar Sadat.
«Posso comprendere tuttora molto bene il fascino motivante che esercita l’ideologia dello Stato islamico su un giovane musulmano nato a Parigi, Londra o Bruxelles, che non si sente né carne né pesce, ha perso le radici dei suoi nonni o genitori, è cresciuto nei valori confusi e materialisti dell’Europa post-religiosa, dove però l’ostilità e persino il razzismo verso i musulmani delle periferie sono forti. E posso capire come mai per lui l’Isis, i compagni che incontra in rete sui loro siti, il senso finalmente di appartenere a una famiglia, di lottare collettivamente per una causa, possono diventare totalizzanti, eccitanti. Anche se l’Isis oggi è in difficoltà in Medio Oriente, la sua ideologia e la sua attrazione non sono per nulla esaurite», ha spiegato Nawaz al telefono, parlando con «la Lettura», dagli uffici di «Quilliam», l’associazione nel centro di Londra che lui dirige promuovendo l’integrazione, il rispetto dei diritti umani e incoraggiando la riforma dell’islam.
È un lavoro che può anche risultare molto rischioso. Per tanti ex compagni di strada Nawaz è un «traditore», una spia, peggio che un eretico: non sono mancate le minacce di morte. Per alcuni periodi è stato scortato dalla polizia. Ha fornito consulenze sul terrorismo e i modi per combatterlo a vari governi occidentali, tra i quali l’americano e il britannico. Ha incontrato, tra i tanti politici, l’ex presidente Usa George W. Bush e l’ex premier britannico David Cameron.
La scelta di sostenere il recente raid americano coadiuvato da Francia e Inghilterra contro il regime siriano di Bashar Assad, in risposta al sospetto utilizzo di armi chimiche contro i ribelli alle porte di Damasco, è rivelatore del suo nuovo modo di pensare. Sostiene Nawaz: «Trovo fondamentale che il mondo civile punisca senza ombra di dubbio qualsiasi tiranno che ricorre alle armi di distruzione di massa contro le popolazioni civili. Non credo ormai si possa cambiare il regime siriano. Ma occorreva un attacco aereo limitato e chirurgico come deterrente all’idea che le armi chimiche possano venire utilizzate normalmente. È stata una risposta simbolica, però importante, non positiva, ma necessaria, addirittura inevitabile».
A suo dire, tra le tante responsabilità dell’oligarchia siriana nell’era di Bashar Assad c’è stata quella, nei primi mesi della rivoluzione fallita tra la fine del 2011 e il 2012, di aver liberato dalle carceri centinaia di estremisti islamici qaedisti col fine di criminalizzare le opposizioni e soprattutto assassinarne metodicamente i leader moderati. «Bashar è sceso a patti con il peggio degli estremisti islamici, ha comprato il petrolio e il gas venduti dall’Isis. Prima che loro nemico, è stato loro partner e complice. Abbiamo tante testimonianze di prima mano in merito. Dal carcere militare di Saydnaya, vicino alla capitale, ha liberato per esempio Amar Abu Athir, che era uno dei leader delle cellule dell’Isis incaricate dei rapimenti. E con lui anche Hassan Abud e Zahran Allush, capi dei gruppi islamici Ahrar al Shams e Jeish al Islam. E ancora Abu Khaled al Suri, uno dei vecchi corrieri di Osama Bin Laden. Così Bashar è direttamente responsabile dello sterminio delle classi dirigenti moderate del suo Paese, gente capace, brava, che avrebbe potuto costruire la nuova Siria», denuncia Nawaz.
La sua biografia Radical. Il mio viaggio dal fondamentalismo islamico alla democrazia, ora pubblicata in Italia dalla casa editrice Carbonio, è in effetti lo specchio di un mondo impenetrabile per un «esterno». Il ritmo veloce, incalzante, lo stile in prima persona, fatto d’immagini e sensazioni violente, lo rendono una cronaca appassionante che cattura subito l’attenzione. Si riferisce a fatti accaduti a partire da circa tre decadi fa. Ma potrebbe essere oggi. «Per voi italiani – osserva l’autore – questi problemi una volta erano lontani. Le mie storie si riferiscono alle dinamiche di relazione che si sviluppano specialmente tra le popolazioni britanniche e francesi o belghe. Parliamo di situazioni dove esistono popolose e antiche comunità di cittadini immigrati dal mondo arabo e in generale dai Paesi islamici. Ma anche da voi gli arrivi negli ultimi anni di grandi masse di migranti stanno rendendo attuale il tema dell’integrazione».
Nato nel 1977 a Southend, nell’Essex, da adolescente Nawaz s’innamora dell’Hip hop, va in estasi per il rapping etnico di moda allora negli Stati Uniti. Scarpe rigorosamente Adidas sempre tre numeri più grandi della sua taglia, pantaloni immensi, felpa gigantesca, viaggia sino a Londra per procurarsi la musica nei negozi specializzati di Brixton e Camden. È uno slammer, cerca lo scontro fisico nei suoi balli aggressivi, riempie i muri delle periferie di graffiti provocatori e sgargianti. È un anti-establishment, ma non ancora politicizzato, fuma droghe leggere, si ubriaca appena può, viaggia sul confine delle bande di ladruncoli, ogni sera una ragazza diversa, e quasi mai sta in classe. La scuola è solo una parentesi tra un’avventura di strada e l’altra.
Eppure, quando vuole, è anche un bravo studente. Legge con più attenzione e molti più libri della media. Sarà proprio la sua curiosità intellettuale a salvarlo più tardi. Ma quando il razzismo e le aggressioni xenofobe della destra inglese lo spingono nelle braccia degli islamisti, i loro capi comprendono subito di poterlo utilizzare come reclutatore. A quel tempo la religione islamica «sta tornando di moda» tra i giovani come lui. La sinistra europea invece non sa dare risposte, è innamorata dei dittatori laici antiamericani come Gheddafi, mentre i giovani musulmani li odiano, sanno bene che cosa sono le torture nelle carceri dei regimi in Medio Oriente e in genere dei loro Paesi di origine.
Nawaz ha un’ottima oratoria, sa trascinare. È un Paki, figlio di genitori immigrati dal Pakistan. Ancora sedicenne entra convinto e infervorato tra i militanti dello Hizb al Tahrir. È un gruppo islamico militante che parla già di «Califfato» e vorrebbe unificare tutti i Paesi a maggioranza musulmana in un unico Stato. «Il mio viaggio è iniziato nel 1992», scrive. Un viaggio lungo, per molti aspetti affascinante. Lo finanziano per studiare lo scontro tra musulmani e indù in India, segue con indignazione la tragedia delle comunità musulmane in Bosnia, visita quelle stesse madrase, le scuole religiose, in Pakistan dove in questi stessi anni Al Qaeda sta creando i suoi quadri dirigenti reduci dalla jihad contro i russi in Afghanistan. La sua è una vera e propria «conversione», ricorda il fervore dei delegati dell’Internazionale comunista inviati a predicare il verbo rivoluzionario dopo l’avvento del bolscevismo in Russia. Annota: «L’islamismo non è un movimento religioso con conseguenze politiche, piuttosto è un movimento politico con conseguenze religiose».
A cambiare radicalmente prospettiva arrivano le torture, gli abusi e infine la lunga prigionia in Egitto. Nella sua cella ode le urla e i lamenti dei compagni picchiati dagli aguzzini, i pianti disumani quando gli elettrodi vengono ficcati nei genitali, la totale mancanza di diritti umani, la violenza gratuita e l’arbitrio eletti a sistema. Nessuno sa nulla. La sorte è incerta. Ci sono quelli che scontano cinque anni di pena, ma la mattina in cui finalmente dovrebbero uscire viene detto loro che invece dovranno restare, senza alcuna spiegazione. E ci sono i mu’taqaleen, incarcerati all’infinito senza neppure un capo d’accusa.
Ricorda: «Al momento del mio arresto 25 mila mu’taqaleen affollavano il sistema carcerario egiziano, tutti detenuti politici». Chiusi in isolamento in «celle spoglie e luride». «Il grave è che lo Stato di polizia, con le leggi speciali dei tempi di Hosni Mubarak, è oggi con Abdel Fattah al Sisi anche peggiorato», commenta. Alla fine lui viene liberato, anche perché riesce a far valere il suo passaporto inglese e grazie al diretto interessamento di Amnesty International, che segue da vicino il suo caso, lo incoraggia, fa in modo che non si senta abbandonato, anonimo prigioniero in un luogo dove l’arbitrio delle guardie è praticamente illimitato.
È tuttavia in quegli stessi lunghi mesi fatti di interminabili sofferenze che cresce la sua nuova «conversione» alla democrazia. Nawaz legge, studia, osserva: pensare è un modo per non finire vittima dalla disperazione. «Fu incontrando tutti quegli ex estremisti da decenni dimenticati in cella che capii l’assurdità della nostra lotta e della nostra ideologia. L’islamismo radicale iniziò ad apparirmi come i fascismi europei tra le due guerre mondiali». Il ritorno a casa fu anche il distacco dal suo passato per abbracciare quel mondo che sino a ieri avrebbe voluto combattere e annullare.