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 2018  maggio 06 Domenica calendario

Tutto sulla corruzione

Angelo Panebianco, scrivendo su «Il Corriere della sera» del 30 aprile scorso, ha chiamato una «grande bugia» quella secondo cui la corruzione percepita (per cui si crede che l’Italia sia il Paese più corrotto d’Europa) e la corruzione reale (quella che davvero c’è) coincidono, perché la corruzione reale risulta essere nella media europea. Carlo Cottarelli, nel libro I sette peccati capitali dell’economia italiana (Feltrinelli) ha suggerito molta cautela nella valutazione del livello di corruzione italiana e dei suoi effetti sull’economia, suggerendo che l’esperienza diretta della corruzione fa collocare l’Italia in una posizione un po’ migliore della media europea. Queste conclusioni sono confermate dall’indagine dell’Istat del 13 ottobre 2017 su «la corruzione in Italia: il punto di vista delle famiglie».
Su questo tanto controverso tema, sul quale si contrappongono percezioni e dati reali, giunge ora una vera e propria “summa”, curata da uno dei maestri della scuola romana di diritto amministrativo, Marco D’Alberti, che ha riunito ben cinquanta saggi su tutti gli aspetti della corruzione: scritti di giuristi, sociologi, economisti, criminologi sono riuniti in sei sezioni, dedicate a origini, cause, definizioni, rapporti con la semplificazione, con i controlli, con i contratti, Autorità nazionale anticorruzione (Anac), impatto economico. Nelle diverse sezioni abbondano gli elementi comparativi, con particolare attenzione a Francia, Catalogna e all’ordinamento globale.
Una analisi che si può dire panottica, di questo tipo, è imposta non solo da esigenze di completezza, ma anche dalla torsione che nel nostro ordinamento ha avuto la disciplina della prevenzione della corruzione, in funzione della quale sono stati ordinati molti altri settori del sistema amministrativo, che avrebbero altre e più importanti funzioni. La normativa sui contratti, che ha principalmente il fine di assicurare risparmi di spesa allo Stato e la concorrenza sui mercati. La normativa sulla trasparenza, il cui scopo principale è di avvicinare l’amministrazione pubblica ai cittadini. La normativa sui controlli, la cui finalità essenziale dovrebbe essere il rispetto di legalità ed efficienza. A dispetto di ciò, la prevenzione della corruzione e l’ANAC giocano un ruolo dominante in queste ed in altre regolamentazioni di settore.
L’eccellente e voluminosa indagine di D’Alberti è particolarmente illuminante per quanto riguarda due aspetti: dimensioni del fenomeno e mezzi di contrasto. I contributi sul primo mettono in luce l’esistenza di due picchi di denunce e di condanne, dopo il 1992 e nel 2006 – 2011, ma anche un allargamento della forbice denunce–condanne. I due picchi trovano una spiegazione anche nella introduzione di nuove norme, con un incremento dei reati rilevati. E segnalano un forte divario tra percezione di un alto livello di corruzione e relativamente basso numero di denunce e condanne.
Sui mezzi di contrasto e l’Anac, la ricerca segnala una concentrazione di poteri di normazione, di amministrazione attiva, sanzionatori e precontenziosi, in contrasto con il principio di separazione dei poteri; la necessità di far funzionare innanzitutto i controlli interni alle amministrazioni; il pericolo che la prevenzione della corruzione, come è stata congegnata, si risolva nell’imposizione di adempimenti formali.
In conclusione, ha ragione uno degli autori di questi saggi nel dire che la corruzione indebolisce la “morale sociale” e questa, a sua volta, favorisce la corruzione. Ma a questo circolo vizioso se ne aggiunge un altro: più sono forti il contrasto e la condanna della corruzione, più questa è resa visibile, più corrotto appare il Paese, più si cerca di porre rimedio e prevenire. Sarebbe quindi ora che il legislatore si concedesse un benefico letargo e – semmai – come auspicato da uno di questi saggi, facesse lentamente arretrare la grande massa di poteri concentrati nell’Anac, destinati più a spaventare gli uffici pubblici e a incentivare l’inerzia che a diminuire la corruzione.