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 2018  maggio 07 Lunedì calendario

Ultimo giro con Mattarella

Riassumendo: oggi Mattarella consulta, probabilmente per l’ultima volta, i partiti, dando loro venti minuti di tempo per rispondere a due domande molto precise: che tipo di esecutivo sarebbero disposti a sostenere e alleandosi con chi; ieri Luigi Di Maio s’è fatto intervistare da Lucia Annunziata e ha nuovamente aperto uno spiraglio a Salvini per un governo M5s-Lega, con un premier né grillino né leghista e però come sempre senza Berlusconi; ieri sera, cioè mentre stiamo scrivendo, i tre capi del centro-destra si sono riuniti per concordare una linea comune da esporre nei loro venti minuti con Mattarella. Ne sappiamo poco, al momento, anche perché agli stessi Berlusconi-Meloni-Salvini (ordine alfabetico) conviene tenersi al coperto il più possibile. Nella partita a poker in corso, infatti, Mattarella ha deciso di sentire prima Di Maio e poi il centro-destra. Potrebbe essere un vantaggio, nel senso che i destri potranno modulare la loro risposta su quella del capo grillino, se Mattarella gliela farà conoscere. Anche se sarà difficile per Di Maio dire cose diverse da quelle che ha esposto a Lucia Annunziata ieri in televisione. Un’intervista molto esplicita.  

Sentiamo.
Alla domanda sul premier, Di Maio ha risposto: «È l’ultimo dei problemi. Si può anche scegliere insieme con la Lega un “profilo terzo”». Questa risposta significa tre cose: non è più detto che il presidente del consiglio debba essere per forza Di Maio; non è escluso che il presidente del consiglio possa essere lo stesso Salvini; è da prendere in considerazione l’ipotesi che il capo del governo non sia né Salvini né Di Maio, ma un terzo gradito a tutti e due (Giorgetti?). Prima che Di Maio andasse dalla Annunziata, girava con insistenza la voce che il M5s avrebbe accettato Salvini a Palazzo Chigi però con l’assegnazione a Di Maio del ministero dell’Economia, attraverso il quale si sarebbe realizzato il reddito di cittadinanza. Nello stesso tempo - con qualunque premier - il governo M5s-Lega avrebbe abolito la legge Fornero sulle pensioni, come Salvini vuole da sempre. Per Di Maio resta tuttavia irrinunciabile l’esclusione da qualunque accordo di Berlusconi. «Apparteniamo a epoche politiche diverse. Ora siamo in un’altra fase, i politici fanno un passo indetro e i cittadini uno avanti. È difficile immaginare che un vecchio politico possa realizzare il reddito di cittadinanza». Nessun problema su Fratelli d’Italia. È questo il nodo che il vertice in corso tra i leader del centro-destra deve risolvere.  

Secondo me, Di Maio non ha torto.
La Bernini, capo di Forza Italia al Senato, ha commentato con parole di fuoco la posizione di Di Maio. Ha preso di mira soprattutto la parte dell’intervista in cui questi dice che se il governo mandato da Mattarella a chiedere la fiducia alle camere non corrispondesse alle indicazioni degli elettori si innescherebbe una crisi di fiducia complessiva nella democrazia: «Quale può essere l’effetto sul Movimento del rifiuto di due forze politiche chiamate a dialogare con noi? E si riceve solo il due di picche, per la regia di Renzi e Berlusconi? Il grave rischio è che una forza come la nostra, votata da 11 milioni di persone, si allontani dalla democrazia rappresentativa... La disaffezione alle istituzioni della Repubblica... Non sta succedendo, ma il rischio c’è, la gente non ci crede più». Parole attraverso cui si potrebbe leggere persino la minaccia di un colpo di stato.  

Si stava dicendo che in qualche modo le carte le distribuisce ancora una volta Berlusconi.
Chi sa. La debolezza di Berlusconi sta in  questo: che non può permettersi un voto a breve. Tutti i sondaggi dicono che, se si tornasse alle urne adesso, la Lega guadagnerebbe almeno quattro-cinque punti e li prenderebbe praticamente tutti a Forza Italia. La famosa Opa del Carroccio sui berlusconiani sarebbe a quel punto anche troppo facile. Dunque, in qualche modo, Berlusconi non può tirare troppa la corda e deve permettere la nascita di un qualche governo capace di stare in piedi almeno fino alla fine dell’anno. È un problema simile a quello che ha il Pd, a cui un voto a breve potrebbe costar caro. L’essere classificati «perdenti» è un guaio.  

Se Salvini si mettesse con Di Maio senza Berlusconi, varrebbe molto di meno.
È il suo nproblema. Con la Meloni arriverebbe al 24% dei seggi alla camera, molto distante dal 35% grillino. D’altra parte c’è il rischio del governo tecnico: pare che qualcuno abbia spiegato a Di Maio che la sua insistenza su Palazzo Chigi è stata dannosissima per il M5s e infatti Di Maio dalla Annunziata ha cambiato musica; allo stesso tempo qualcuno ha fatto rivedere a Salivini la lista degli eletti del Carroccio e anche a un esame superficiale è risultato chiaro che parecchi di questi (e parecchi anche del M5s, probabilmente) sarebbero pronti a votare per un governo del presidente pur di non tornare a casa dopo poche settimane dall’elezione. Cioè, il rischio è che il governo tecnico o di tregua o istituzionale ottenga la maggioranza dei voti e duri magari addirittura cinque anni. Notiamo che anche il governo del presidente metterebbe a rischio spaccatura il centro-destra: Berlsconi lo appoggerebbe, mentre Salvini non lascerebbe mai le praterie dell’opposizione a disposizione dei pascoli grillini.  

Potremmo quindi, in ogni caso, finire sul governo del presidente o di tregua?
Sì, certo. I giornali ieri si sono divertiti a ipotizzare che Mattarella stia pensando di scegliere in una rosa di tre donne, e cioè tra Marta Cartabia, giudice della corte costituzionale (il posto dove sedeva Mattarella prima di finire al Quirinale), Fabiola Gianotti, grande scienziata del Cern di Ginevra oppure Lucrezia Reichlin, stimatissima economista e discendente di politici famosi. Io dico che la mossa più forte però sarebbe quella della Casellati, investita della carica in quanto presidente del senato e obbligata dal Quirinale a scegliere ministri qualificati per competenza e prestigio e non per appartenenza politica. Berlusconi e Renzi voterebbo di sicuro a favore e Di Maio contro. Ma Salvini?