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 2018  maggio 06 Domenica calendario

Lo scandalo dei derivati di Stato

Il procedimento verso i dirigenti del Tesoro si avvia alla fine, ma dalla Corte dei Conti arrivano particolari inediti sui contratti con Morgan Stanley roma Mentre entra nella fase decisiva il “maxi- processo” sui derivati di Stato intentato dalla Corte dei Conti a carico di quattro fra i maggiori dirigenti del Tesoro negli ultimi anni – Maria Cannata, Vincenzo La Via, Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli – Affari & Finanza, il supplemento economico di Repubblica in edicola domani rivela una serie di particolari e retroscena inediti sulla complessa vicenda che ha portato a una perdita secca per lo Stato italiano di 3,9 miliardi. In particolare, dai documenti inediti che Affari & Finanza ha potuto consultare, emerge che la situazione si era deteriorata ben prima di fine 2011, quando Morgan Stanley decise di chiudere in maniera anticipata rispetto alle scadenze previste ( che l’avrebbero portato fino al 2058) il rapporto contrattuale, costringendo il governo italiano a versare sull’unghia 3,1 miliardi. Già all’inizio del 2003, prima che venissero sottoscritti i nuovi contratti che hanno ampliato la perdita, il “buco” aveva già superato i 600 milioni di euro, dieci volte la soglia massima che avrebbe dovuto far scattare la chiusura del rapporto fra Tesoro e Morgan Stanley. Nonostante questo, la banca ha continuato a proporre nuovi contratti al governo, e il Tesoro ha tentato di attuare attraverso questi nuovi contratti operazioni di natura speculativa, ad esempio scommettendo sull’ingresso della sterlina nell’euro oppure su un rialzo dei tassi che non si è mai verificato. Anche la banca americana, che aveva un rapporto stretto col Tesoro in quanto primary dealer è citata in giudizio dalla Corte di Conti che chiede 2,7 miliardi. In aggiunta, la Corte chiede 982 milioni alla Cannata, 84 milioni a Siniscalco, 20 milioni a Grilli e 96 a La Via. Sul numero di Affari & Finan za di domani c’è inoltre un ampio reportage sulla battaglia che hanno intrapreso i Big europei delle telecomunicazioni – Vodafone, Deutsche Telekom, Orange, Telefonica – per conquistare il mercato dei video, dei servizi web, dalla tv, insomma per ampliarsi nell’universo multimediale reso possibile dalla diffusione della banda larga. Una battaglia in cui sembra in vantaggio Vodafone, che ha iniziato le grandi manovre per mettere le mani su Unitymedia, ovvero gli asset europei del gruppo americano Liberty Global di John Malone. Un’operazione dal costo minimo di 16 miliardi che permetterebbe al gruppo britannico, guidato dall’italiano Vittorio Colao, di creare la più grande compagnia integrata di comunicazione europea. I rivali peraltro hanno già avviato le contromosse – Deutsche Telekom per esempio sta completando la fusione da 26 miliardi fra la controllata T- Mobile e Sprint –in una competizione in cui vorrebbe inserirsi anche l’italiana Tim che però parte in ritardo per le esasperanti lotte di potere e di governance di cui è stata vittima negli ultimi tempi. L’assemblea di venerdì scorso ha portato alla “vittoria” del fondo Elliott su Vivendi ma i futuri assetti restano tutti da vedere.