la Repubblica, 6 maggio 2018
Con le Telecom a un euro, Elliott venderà
Roma Paul Singer è entusiasta. Chi dall’Italia ha sentito il patron del fondo Elliott subito dopo la sua vittoria su Vivendi nell’assemblea di Telecom e il conseguente ribaltone in consiglio, assicura che il gestore americano considera il suo successo doppio. Sia per il risultato che apre nuove prospettive per l’investimento fatto sul Telecom, sia perché l’affondo contro il socio forte francese, in un mercato come quello italiano non abituato alle vittorie dei fondi “attivisti”, è un’ottima voce da mettere nel curriculum di Elliott. Che in ogni caso non resterà a lunghissimo nel capitale Telecom: se riuscirà a far salire il titolo verso quota un euro con ogni probabilità il fondo comincerà a vendere. La missione italiana di Elliott era partita già da quasi un anno: era il luglio scorso quando il dossier Telecom era approdato sulle scrivanie di Singer e dei suoi uomini. E oltre ai dati squisitamente finanziari – dalla conversione delle azioni di risparmio in ordinarie che il mercato chiedeva e Vivendi rifiutava, allo scorporo della rete uno dei fattori che ha spinto Elliott all’azione è stato l’unanime dissenso di cui Vincent Bolloré e il suo plenipotenziario italiano, quell’Arnaud de Puyfontaine che è Ceo di Vivendi e fino a venerdì scorso anche presidente di Telecom, erano riusciti a circondarsi in Italia. In effetti le relazioni di de Puyfontaine con le nostre istituzioni non devono essere state delle migliori se proprio alla vigilia dell’assemblea i suoi messaggeri spiegavano urbi et orbi che la Cassa Depositi e Prestiti non avrebbe votato per la lista di Elliott, ma si sarebbe astenuta consegnando così la vittoria a Vivendi. Così non è stato. Adesso, dunque, bisogna capire che cosa accadrà nella nuova – per cda, se non per azionariato – Telecom. Elliott, prima di tutto, che cosa farà? In sintesi cercherà di applicare il piano che in queste settimane ha sottoposto agli azionisti e che ha come voci principali la conversione delle risparmio in ordinarie, la separazione e la vendita di una parte della rete, pur mantenendone una quota, e la vendita della controllata Sparkle, anche per ridurre l’indebitamento e tornare a dare un dividendo ai soci. Questi i passi, anche se l’obiettivo di Elliott è sintetizzabile in modo molto più semplice: vedere il titolo Telecom tornare sopra quota un euro. Il fondo guidato da Singer, infatti, offre da un trentennio ai suoi investitori un rendimento superiore al 10% annuo. Se e quando il titolo Telecom, che ha comprato attorno a 0,70 euro si avvicinerà alla soglia dell’euro, Elliott non avrà alcun problema a liquidare il suo 9% circa e ad uscire dall’azionariato in cerca di nuove avventure. Certo è che Vivendi, con il suo 23,9% del capitale può bloccare qualsiasi operazione straordinaria, come quelle previste da Elliott. Ma proprio una crescita di valore del titolo potrebbe convincere i francesi, che hanno in carico Telecom a 1,07 euro – a cercare una via d’uscita dall’azionariato. La Cdp è stato l’altro socio decisivo in questa vicenda, ma a quel che si apprende non intende per ora né alzare la sua quota oggi al 4,9% (anche perché così rischierebbe di attirarsi un’indagine per aiuti di Stato da parte di Bruxelles), né mettere suoi rappresentanti nel consiglio Telecom. La ricetta Elliott sullo scorporo e la cessione della rete è per ora la garanzia che serve all’azionista pubblico per vedere più vicino il suo progetto, ossia una fusione tra la rete Telecom e Open Fiber, la rete alternativa messa in piedi da Enel e di cui Cdp ha il 50%. Un piano che va più in là della prevista permanenza di Elliott nel capitale, ma che potrebbe contare comunque sul sostegno di altri fondi azionisti.Il nuovo e l’antico, comunque, si mescolano nella vicenda Telecom. Il ruolo dello Stato attraverso la Cdp, un rinnovato potere delle Fondazioni bancarie che attraverso Giuseppe Guzzetti hanno svolto la regia dell’operazione Cdp, i significativi curriculum di alcuni dei consiglieri indipendenti presentati da Elliott, testimoniano tutti una sorta di ritorno a una sorta di Prima Repubblica della finanza. La carta dell’italianità, almeno come passaporti dei consiglieri d’amministrazione a partire dal presidente Fulvio Conti che sarà nominato domani, verrà giocata senza troppe remore. Al consiglio Telecom a trazione francese se ne sostituisce infatti uno dove tutta la lista di maggioranza – a differenza di quello che di solito accade nelle maggiori società – è italiana, mentre i rappresentanti di Vivendi ( compreso l’amministratore delegato Amos Genish) sono confinati nei cinque posti riservati alle minoranze. La virata patriottica si avvertirà presto sia a livello simbolico, uno dei primi atti del neopresidente Fulvio Conti sarà probabilmente una visita a Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi, sia su un piano più pratico: in Telecom si è già aperta la caccia ai dirigenti che non passeranno le forche caudine della nuova gestione; difficile, ad esempio, che resti a lungo Michel Sibony che assieme alla responsabilità degli acquisti nella società italiana ha lo stesso ruolo in Vivendi.