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 2018  maggio 06 Domenica calendario

Thierry Boutemy: «Comunico più facilmente con i fiori che con gli uomini»

Thierry Boutemy è un floral designer che lavora a Bruxelles. Molto richiesto dalla moda, dal cinema e per eventi privati, è noto per il taglio naturalistico e la bellezza dei suoi bouquet freschi.
Come è nata la sua vocazione?
«Sono nato e cresciuto in Normandia. Ero un bambino solitario, mi piaceva esplorare la natura: i fiori erano uno strumento di comunicazione. Per me è più facile entrare in sintonia con la natura che con gli esseri umani. Ho studiato orticoltura e botanica e poi ho seguito il classico iter di chi vuole diventare fioraio. Ma non amavo gli studi, non riuscivo a ritrovarvi le sensazioni che mi davano i fiori».
Come ha iniziato?
«Non volevo andare a Parigi e a 25 anni ho aperto, per caso, il mio negozio a Bruxelles. È più vicino ad Aalsmeer, in Olanda, dove si trova il più grande mercato di fiori al mondo».
L’incontro con il cinema?
«Nel 2006. In Francia giravano “Marie Antoinette” di Sofia Coppola e lo scenografo K.K. Barrett, con cui avevo collaborato, mi chiamò. Più avanti ho collaborato a sfilate di moda e servizi fotografici, per artisti e gallerie».
Con chi?
«Lanvin, Hermès, Dries van Noten. E poi Mario Testino e Lady Gaga per “Vogue”, e con Tim Walker. Ora anche alcuni musei mi chiamano per installazioni vegetali».
Come descriverebbe il suo lavoro?
«Mi piace parlare della fragilità della vita. Viviamo in una società votata al denaro ma a me non interessa fare affari: ho perso un sacco di soldi con il mio primo negozio».
Come sceglie i fiori?
«I fiori sono amore e bellezza. Mi piacciono quelli semplici, penso che il loro profumo aiuti a ricordare l’infanzia».
Quali sono i fiori semplici?
«Myosotis, fiordalisi, narcisi, giunchiglie, papaveri, gigli, ranuncoli, tulipani, dalie e camelie. Anche le peonie, ma da sole. E lillà e delphinium. Una cosa non mi piace: ciò che facciamo con i fiori».
E cioè?
«Li industrializziamo, li produciamo come frutti senza profumo e verdure senza sapore».
Le piacciono le piante?
«Non ci lavoro molto ma ho una passione per le felci. Non amo i giardini perché preferisco camminare in un ambiente libero».
Quindi le piacciono i boschi?
«Sì, i paesaggi delle Landes, della Cornovaglia e del Galles. Anche la Svezia e il Nord Cotentin, in Normandia; io sono nato lì, vicino a Cherbourg».
Cosa realizza con i fiori?
«Bouquet, decorazioni, scene. I fiori servono in circostanze molto diverse: dai matrimoni ai funerali. A me piacciono soprattutto questi ultimi, l’idea di rendere omaggio a una persona con la bellezza della natura».
Viviamo in un mondo votato alla tecnologia, c’è ancora spazio per i fiori?
«Oh sì, moltissimo. Ci mettono in connessione con la natura. Se tagliamo il fiore non uccidiamo la pianta».
Il suo sogno?
«Vorrei cambiare il modo di coltivare i fiori. Fare in modo che non sia più un’industria».
Si considera un artista?
«No, direi che sono “borderline”».
E cosa pensa della storia di Jeff Koons e dei suoi fiori?
«Non ho un’opinione estetica. Non è un’emozione floreale».
Le persone amano i fiori?
«Vedo molti mutamenti nella società. Prima vendevo fiori a persone che volevano gratificarsi con poco, ma la classe media è sparita e oggi i fiori non hanno altro scopo che la loro bellezza. Non sono un bisogno primario, così i fiori davvero belli sono molto costosi e ce ne sono sempre meno. Personalmente preferisco un solo fiore in un vaso piuttosto che molti fiori».
Da dove vengono i fiori più belli?
«I migliori arrivano dai giardini, la produzione industriale mi deprime».
Come li combina?
«Tutti i colori vanno bene insieme e i fiori devono avere respiro: la moda dei bouquet rotondi è deleteria».
Lavora in molti Paesi?
«Sono stato in Cina, negli Usa, in Grecia, in Libano. Parecchio in Italia, tra Puglia, Roma e Siena. Porto sempre con me i fiori. Realizzo i bouquet sul momento e ho una squadra di venti o trenta fiorai che lavora con me da dieci anni. All’inizio cercavano la perfezione ma io ho sempre detto di fare qualcosa di più naturale. Il Belgio, dove vivo, è tranquillo, adatto per pensare, non ci sono troppe distrazioni. Mi piace molto il lavoro di William Blake, amo i dipinti di Van Gogh e i murales di Cocteau. Adoro la chapelle Saint-Blaise-des-Simples, dove è sepolto».
È religioso?
«No, vorrei esserlo, ma direi che sono piuttosto un animista. Ho letto molti libri sugli indiani d’America e sui siberiani e amo la loro relazione con la natura. Purtroppo di tutto questo oggi restano solo i libri».
I suoi prossimi progetti?
«A Namur in Belgio, sono stato ispirato dal lavoro di Félicien Rops. Nel giardino creerò un enorme cespuglio a forma di glutei dove si potrà entrare».
Qual è la sua ambizione?
«Lavorare a un balletto di Sharon Eyal per la compagnia di danza israeliana Batsheva. Per me è una vera fonte di ispirazione. E poi vorrei lavorare di nuovo per il cinema e per il teatro, fare un’opera con i fiori».
Traduzione di Carla Reschia