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 2018  maggio 05 Sabato calendario

Sono i treasury ad aver innescato la crisi argentina

Sembrava una leggenda metropolitana. Una di quelle storie che si raccontano davanti a una birra. Eppure la profezia del 3% è stata rispettata in pieno: da quando i rendimenti dei titoli di Stato decennali Usa hanno superato la soglia psicologica del 3% (il 24 aprile scorso), su tutti i mercati finanziari è cambiato il mondo. Il dollaro, che prima era debole, si è rafforzato come nessuno poteva prevedere: ieri ha toccato il massimo del 2018 sulle principali valute mondiali. Per contro sono scese sui minimi dell’anno l’euro (se il 18 aprile era poco sotto 1,24 ieri è andato poco sopra 1,19) e la sterlina. Ma soprattutto il terremoto si è esteso alle valute dei Paesi emergenti, sulle quali in molti casi si sommavano problemi ulteriori: la lira turca è così crollata sui minimi storici (aggravata anche dal declassamento di rating da parte di Standard & Poor’s) e tante valute sudamericane si sono indebolite. Fino a costringere la banca centrale argentina ad alzare i tassi su livelli quasi incredibili: al 40%. Un vero e proprio terremoto globale. Che dimostra quanto i mercati finanziari siano interconnessi e dominati dalla speculazione.
Tutto, come detto, è partito da quel 3% raggiunto dal Treasury il 24 aprile. Questo ha spinto molti investitori a spostare capitali sui titoli di Stato Usa a discapito di asset a maggior rischio, come azioni o titoli dei Paesi emergenti: se si può incassare un 3% tondo tondo su un titolo a rischio zero – si sono detti molti investitori – perché rischiare di più investendo altrove? Così – testimoniano i dati di Bank of America usciti ieri – la scorsa settimana ci sono stati sui titoli di Stato americani afflussi di capitali da record: non si vedeva un fiume di denaro settimanale così forte da almeno il 2008. Per contro – certifica sempre Bank of America – si è verificato un deflusso massiccio da tutti gli altri mercati: bond emergenti, mercati azionari, obbligazioni rischiose (high yield) e così via. Questo ha avuto un ovvio effetto sulle valute: il dollaro si è rafforzato (chi compra Treasuries compra dollari) e le altre si sono svalutate.
Ad esasperare questo movimento e a renderlo così violento sono poi intervenuti altri elementi. Il primo – determinante – è stata la speculazione. Fino a pochi giorni prima che il Treasury decennale superasse il 3% di rendimento, gli investitori erano tutti pesantemente sbilanciati sulla scommessa ribassista nei confronti del dollaro: tutti erano convinti che il biglietto verde si sarebbe indebolito e ci giocavano sopra. Per contro le speculazioni (attraverso il mercato dei futures) sul rialzo dell’euro avevano raggiunto il massimo storico. Il mercato era insomma tutto impostato a senso unico. Dal momento in cui il Treasury ha superato il 3% e i capitali hanno iniziato ad andare in Usa rafforzando il dollaro, tutti quelli che speculavano sul suo indebolimento hanno dovuto invertire velocemente la rotta. Così, tutti insieme, gli speculatori hanno alla fine esasperato il balzo del dollaro.
A questo si sono poi aggiunte le banche centrali, che si sono tutte (a partire da Bce e Bank of England) dimostrate più caute sull’uscita dagli stimoli monetari o sul rialzo dei tassi. Questo ha smorzato ulteriormente euro e sterlina. Unendo poi i dati macroeconomici (ben migliori in Usa che in Europa), lo scenario è andato tutto a favore del dollaro. Che ha continuato ad apprezzarsi. Costringendo addirittura alcune banche centrali, come quella argentina, a correre ai ripari. Senza fortuna però.