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 2018  maggio 05 Sabato calendario

La nuova crisi argentina

Un altro tango, acrobatico stavolta. I tassi di interesse schizzano al 40% in quell’Argentina che ha superato ma non dimenticato il default del 2001. La distinzione tra economisti d’acqua dolce (Chicago) e di acqua salata (Boston e California) si deve a Robert Hall: per tutti vale la teoria mainstream, ma per i primi i mercati sono perfetti e per i secondi qualche imperfezione c’è. Ebbene, l’Argentina ha il privilegio, storico, di falsificare tutte le teorie e mostrare al Primo mondo che alla Fin del mundo i conti non tornano mai. Qualunque sia la ricetta applicata, ne emergono le incongruità, l’inapplicabilità. Proprio così, sulle note della struggente malinconia di un tango di Carlos Gardel, “Mi Buenos Aires querido”.
Dai mercati il segnale arriva forte e chiaro: allacciarsi le cinture di sicurezza. L’ottovolante garantisce emozioni forti e, ironia della sorte, parte a pochi giorni di distanza dai complimenti incassati al G-20 dall’elogiatissimo Mauricio Macri. 
Che succede in quest’Argentina delle meraviglie ? 
I venti della Patagonia determinano repentini cambiamenti di temperatura e si è passati dal tepore delle rassicurazioni internazionali al gelo di una primavera australe che potrebbe innescare, se non un default, un’aspra stagione di instabilità. Le riserve della Banca centrale sono pari a 60miliardi di dollari, livello che garantisce la tenuta del sistema, almeno per ora, ma non l’equilibrio politico e finanziario. 
La scintilla è scoccata su un tema di politica fiscale legato al settore agroindustriale e, da lì, al mondo della finanza. È stata introdotta una tassazione sulle rendite finanziarie (al 5%) a generare la prima ondata di volatilità, rapidamente propagata nel mercato dei cambi argentino. Il peso argentino si è deprezzato ed è schizzato a quota 23 sul dollaro.
Il Pil 2017 è cresciuto del 2,9% – dopo il crollo (-1,8%) del 2016 – e il nuovo corso dopo la stagione troppo lunga di Cristina Fernandez de Kirchner – pareva aver innescato un circolo virtuoso. Invece siamo sempre lì, in bilico tra un boom e un crack. «Basta poco per generare fluttazioni – spiega Enzo Farulla, economista, già Raymond James, esperto di America Latina – il mercato cambiario argentino non supera i 100 milioni di dollari al giorno e le oscillazioni generano instabilità. Ma il Paese delle grandi opportunità ha la fisionomia di un sistema bloccato». 
L’Argentina non trova la via della stabilità e di quel benessere diffuso che sarebbe a portata di mano. Come in un labirinto borghesiano perde la “visione” di un modello di sviluppo basato sulle reali e immense potenzialità.
Le due ossessioni, “el campo y el dolar”, l’agricoltura e il dollaro, sarebbero, in sé, vantaggi comparati di grande valore. Invece l’export di materie prime non lavorate e la sfiducia in se stessi, nella propria moneta, condannano il Paese a mantenere in vita corpose sacche di povertà. 
Il primo obiettivo del governo Macri era ridurre drasticamente il tasso di inflazione. Obiettivo mancato. Resta il nodo gordiano, ancora oggi è superiore al 30%, irriducibile. Come i politici, gli imprenditori e i sindacati, ostinati nell’arroccarsi su posizioni inconciliabili. Il sistema distributivo è forse l’esempio più eclatante di un modello disfunzionale: un oligopolio, costituito da tre big del settore, la francese Carrefour, la cilena Disco e l’Argentina Coto, determina prezzi senza che vi sia un reale stimolo alla concorrenza. Eppure alcuni analisti guardano all’Argentina con crescente ottimismo: Xavier Hovasse, Fund manager di Carmignac, è molto ottimista sul futuro del Paese. 
La ripartenza difficile, troppe volte mancata, potrebbe poggiare su uno sviluppo centrato sulla creazione di valore aggiunto dell’agrobusiness. Così la pensano molti economisti. L’export di soia, mais e carne condanna il Paese alla volatilità dei prezzi delle commodities agricole. Insomma una….maledizione delle materie prime trascolorata dall’oro nero del petrolio all’oro verde della soia. Intanto sfuma un’altra volta la speranza che la svolta moderatamente liberista di Macri conduca a un cambio di passo. Senza che il peronismo, la balena bianca dell’immobilità, costituisca un’alternativa credibile. Il fondamentalismo di mercato, “l’economia in equilibrio”, secondo le leggi di Walras, quaggiù alla Fin del mundo pare una dimensione onirica.